Gli EISA Awards premiano i migliori prodotti hi-tech, ma le aziende devono pagare per usare il logo. Marketing o vera qualità?
Nel mondo dell’elettronica di consumo, c’è un bollino che da decenni fa bella vista accanto alle immagini di tanti prodotti e campeggia nelle brochure pubblicitarie: quello degli EISA Awards. Un brand che, almeno sulla carta, dovrebbe rappresentare il massimo riconoscimento della critica specializzata per quanto riguarda TV, cuffie, fotocamere, diffusori, soundbar, amplificatori, smartphone e altri prodotti hi-fi e tecnologici. Dietro questa aura di prestigio e la prospettazione di un giudizio super partes, si nasconde però un meccanismo meno “romantico”, fatto di dinamiche economiche precise e di un business che solleva più di una domanda sulla reale indipendenza di questi premi.
Alle origini: un club di riviste europee
Gli EISA Awards nascono nel 1982 come iniziativa di alcune riviste europee di hi-fi e fotografia. L’idea era semplice e, in teoria, virtuosa: riunire le principali testate specializzate del continente, confrontare i loro pareri sui prodotti in uscita e decretare i migliori dell’anno. Con il tempo, l’associazione EISA (Expert Imaging and Sound Association) si è allargata fino a includere oggi circa 60 tra riviste, siti web e influencer provenienti da 27 Paesi (non più solo europei), coprendo un ventaglio sempre più ampio di categorie (audio, video, fotografia, in-car electronics e dispositivi mobile).
La giuria è dunque composta da giornalisti delle varie testate aderenti, che si riuniscono periodicamente per discutere e votare i prodotti più meritevoli. In superficie, tutto appare come il trionfo della democrazia editoriale, con decine di redazioni indipendenti che si confrontano per eleggere i prodotti tecnologici migliori dell’anno. Ma è davvero così semplice?

È vero che i giurati provengono da riviste e siti web di settore con anni di esperienza alle spalle. Tuttavia, parliamo pur sempre di testate che vivono di pubblicità e rapporti più o meno stretti con le stesse aziende che producono i dispositivi premiati. La trasparenza, in questo senso, potrebbe lasciare spazio a zone d’ombra. Non esistono verbali pubblici, non si sa nel dettaglio come avvengano le selezioni e i criteri, e la comunicazione ufficiale di EISA si limita a enfatizzare la competenza dei giurati senza mai svelare fino in fondo il processo decisionale.
Il bollino EISA: riconoscimento o marchio commerciale?
Il vero nodo, però, non è nemmeno il processo di selezione. È quello che accade dopo. Perché vincere un EISA Award non significa automaticamente poter sbandierare il bollino sulle confezioni dei prodotti o nelle campagne pubblicitarie. No, quello è un privilegio che si paga. Le aziende vincitrici devono infatti versare a EISA una cifra (che non conosciamo) per avere la licenza d’uso del logo “EISA Award Winner”. In pratica, il bollino non è il premio, ma un marchio registrato che si sfrutta solo dietro pagamento.
È qui che il meccanismo potrebbe tradire la sua natura di business. L’azienda può anche vincere, ma se non paga, non potrà mai comunicare ufficialmente al consumatore che quel prodotto ha ricevuto l’ambito riconoscimento. Un dettaglio che mette in prospettiva l’intera operazione: quanto vale un premio che deve essere monetizzato dalle stesse aziende che lo ricevono?

Il business degli EISA Awards
EISA, insomma, funziona come un brand commerciale che vende visibilità e autorevolezza in cambio di denaro. Più il bollino circola su scatole di prodotti e siti web, più aumenta il prestigio percepito del marchio EISA e più le aziende saranno incentivate a pagare. È un circolo che si autoalimenta, con un ritorno economico che potrebbe trascendere la pura valutazione qualitativa di un prodotto.
Non dovrebbe sorprendere, quindi, se molti brand dovessero decidere di investire pur di poter piazzare quel logo accanto al proprio televisore o alla propria soundbar. Perché, alla fine, il consumatore medio non sa nulla delle dinamiche dietro le quinte, ma vede solo un bollino con scritto “Best Product” e pensa di avere davanti il meglio in assoluto.
Gli EISA Awards non sono certo un unicum. Nel mondo della tecnologia e del design esistono decine di riconoscimenti simili, dai Red Dot ai CES Innovation Awards. E in tutti i casi il meccanismo è più o meno lo stesso: giuria di esperti, selezione dei vincitori, pagamento per sfruttare il marchio nelle comunicazioni. Ma se questo schema è ormai diffuso e consolidato, ciò non significa che sia meno discutibile. In un’epoca in cui i consumatori sono bombardati da slogan e loghi rassicuranti, il confine tra vero riconoscimento indipendente e pura operazione di marketing rischia di diventare sempre più sottile.

L’effetto sul consumatore
La domanda, quindi, è: cosa compra davvero l’utente quando sceglie un prodotto con il bollino EISA? Un televisore migliore degli altri, oppure un dispositivo di un’azienda produttrice che ha avuto la possibilità (e la volontà economica) di investire nello sfruttamento commerciale del bollino? È difficile negare che la percezione giochi un ruolo enorme. Il logo EISA ha un peso perché da oltre 40 anni comunica autorevolezza e rassicura l’acquirente, ma questa rassicurazione è il risultato anche di una transazione economica, non di un semplice riconoscimento tecnico.
Alla luce di tutto questo, il consumatore sarebbe più che legittimato a guardare con occhio critico a questi “bollini di qualità”. Attenzione, non stiamo affatto dicendo che si tratta di fregature in senso stretto. I prodotti premiati sono molto spesso validi e a volte eccellenti, ma come in ogni contesto di premiazioni (si pensi solo agli Oscar) non è detto che siano i migliori in assoluto. E, soprattutto, il bollino racconta solo una parte della storia, quella che conviene sia a chi assegna il premio, sia a chi lo compra; a discapito di quelle aziende che hanno scelto di non investire.
Qualche dubbio sulla qualità dei vincitori però rimane, anche alla luce dei recenti riconoscimenti in un settore come quello dei TV. Negli ultimi tre anni, a trionfare in questa categoria sono stati quasi esclusivamente modelli di TCL, Hisense e Philips, con brand come LG, Panasonic e Sony completamente esclusi dagli ultimi Awards e con Samsung che, da primo produttore di TV al mondo, si è dovuto accontentare dal 2023 a oggi del solo premio nella sottocategoria TV OLED.

Possibile che dal 2023 a oggi i TV dei due big cinesi e in minor parte di Philips abbiano surclassato sempre e comunque quelli dei loro competitor? O dietro questi premi potrebbe esserci il fatto che, ad esempio, dopo ben tre EISA Awards 2020-2021 e 2021-2022 nella categoria TV, LG abbia preferito non pagare più la licenza per sfruttare logo e bollino lasciando così campo libero a TCL e Hisense? Contando che nelle ultime tre edizioni il produttore coreano è completamente scomparso dagli Awards, il dubbio viene, anche se si tratta di nostre supposizioni.
I premi in altre categorie (Hi-Fi e Mobile) ci sono sembrati invece più equilibrati come varietà di brand ed effettiva validità dei prodotti, ma anche in questi casi resta la consapevolezza che senza tutto il discorso delle licenze a pagamento gli EISA Awards avrebbero più credibilità e meno “punti ciechi”. Noi li abbiamo seguiti e continueremo a farlo perché nell’ambiente sono riconoscimenti che fanno comunque “rumore” e creano discussione, ma da qui a “considerarli riconoscimenti sempre e comunque attendibili e a cui guardare con interesse per indirizzare i nostri acquisti il passo è ormai lungo”.
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