Il tempo passa inesorabilmente, le cose cambiano, si evolvono (?) e si modifica la percezione di molti contesti ritenuti fondamentali, il tutto attraverso un vorticoso e tormentato divenire che non sempre, purtroppo, corrisponde ad un reale progresso, soprattutto per quanto riguarda la qualità media della musica.
Per fortuna però, ciò che un tempo aveva un reale valore perché derivato da un serio impegno professionale, ancora oggi – per fortuna aggiungerei – è perfettamente fruibile ed anzi, basta guardarsi intorno, appare perfettamente in grado di far letteralmente impallidire l’attuale contesto: la musica di qualità tale resta!
Fateci caso, basta tendere l’orecchio per comprendere come molta musica di un passato più o meno recente sia puntualmente e periodicamente riproposta senza tema di sembrare “vecchi boomers” ancorati ad un passato giudicato inevitabilmente migliore.
Duole affermarlo ma per determinati versi il passato ERA migliore – ovviamente un determinato passato, sia ben chiaro – non fosse altro che per la presenza di valori i quali, apparentemente limitanti, in realtà rappresentavano un concreto e solido appoggio di riferimento, una sorta di quadro normativo nel quale muoversi agevolmente, l’esatto contrario dell’incertezza odierna dove tutto o quasi è ben più che effimero.
Le nuove generazioni – almeno coloro che hanno a cuore il concetto di effettiva qualità artistica – sono spasmodicamente alla ricerca di proposte musicali degne dell’impegno che richiede un ascolto serio, qualcosa in grado di regalare concretamente momenti di gioia piuttosto che noiose ripetizioni di qualcosa che appare già sentito.
Nell’articolo che qualche tempo fa scrivemmo relativamente all’ormai consolidato utilizzo improprio del noto software Autotune – aspetto negativamente commentato proprio dal suo ideatore, tanto per dire – puntavamo il dito proprio sul fatto che questo software, laddove male utilizzato, rendesse in un certo qual modo negativamente trasversali alcune caratteristiche timbriche che questo applicativo conferisce al segnale rendendo un po’ tutto uguale.
Non per nulla si fa davvero fatica ad identificare produzioni diverse poiché le voci degli “artisti” sono letteralmente omologate da questo artificio di derivazione informatica; in altre parole, sentito uno sentiti tutti, ché ascoltare ci pare verbo eccessivamente impegnativo.
Proprio per questo spesso ci rivolgiamo al passato, un periodo dove gli strumenti erano reali così come lo erano coloro che li suonavano (ovviamente) – e state tranquilli che l’orecchio, nemmeno troppo allenato, se ne accorge senza tanti problemi – in molti casi in maniera davvero virtuosa, ma tanto era normale la cosa che sovente passava quasi inosservata.
Mediamente parlando, infatti, i gruppi del passato erano normalmente formati da performers di elevato livello artistico e tecnico: chitarristi, tastieristi, bassisti e batteristi – solo per citare la media dei musicisti presenti in un canonico gruppo, diciamo un quartetto – erano certamente in grado di suonare alla perfezione lo strumento prescelto facendo sfoggio in determinati casi di indubbio virtuosismo.
Con ciò non intendiamo affermare che al giorno d’oggi questo non accada più – attenzione però al genere di riferimento, necessariamente correlato all’essenza tecnico-strumentale, ragione per cui un rapper, un jazzista oppure un bluesman non possono di certo essere paragonati – ma appare evidente come la cifra stilistica sia nettamente diversa.
Il che significa che l’appassionato di Alta Fedeltà dovrà esercitare una maggiore attenzione nella scelta dei suoi acquisti, opere necessarie a soddisfare la propria passione per la musica ma soprattutto, per la qualità tecnica collegata alle esecuzioni, anche qui non sempre identica, a prescindere dalla qualità artistica.
D’altronde, visti anche i costi medi di un disco in vinile ben realizzato oppure di una qualsiasi edizione di pregio – cui è probabile che si rivolga il nostro amico appassionato – fare scelte avventate o peggio dettate dall’impulso appare quanto mai sconveniente, un po’ come recarsi in quei ristoranti che propongono scelte assai eccepibili a prezzo stracciato: cui prodest?
Chiaramente il suggerimento che intendiamo fornire ai nostri stimati lettori non è affatto quello di ricercare solo ed esclusivamente edizioni ben suonanti tout court perché non avrebbe alcun senso logico – tranne che anziché ascoltare non si intenda verificare ogni qual volta lo si accende il proprio sistema audio, pratica che si spera sia oramai estinta – piuttosto, meglio sarebbe operare acquisti ponderati, pochi ma (effettivamente) buoni, a prescindere dal formato ovviamente, ciascuno scelga quello preferito.
A chi serve una discoteca composta da musica destinata all’oblio? Molto meglio operare un’accurata selezione al fine di poter ascoltare in qualsiasi momento opere degne di nota.
Il mercato può e deve – o almeno dovrebbe – essere in un certo qual senso pilotato anche dal consumatore e non solo dalle imposizioni dei produttori che per l’appunto, complice il miraggio del guadagno facile, irrompono spesso sul mercato al solo scopo di far soldi alla faccia della reale qualità del prodotto.
Come al solito, ottimi ascolti!!!
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