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D – Cinema: come funziona nel dettaglio? (terza parte)

Ultima parte del nostro speciale dedicato al D-Cinema, con uno sguardo rivolto alle nuove tecnologie e ai possibili sviluppi futuri, ma anche una riflessione sulla diseducazione del pubblico riguardo la qualità della visione cinematografica.

Nonostante la tecnologia, specialmente quella digitale, sia in continuo sviluppo, l’ambito D-cinema negli ultimi anni si è dimostrato decisamente refrattario al rinnovamento continuo. Principalmente a causa degli elevati investimenti richiesti, specialmente se rapportati al lungo tempo necessario affinchè diventino remunerativi. Ciò nonostante, alcuni coraggiosi “pionieri” propongono (ed implementano) soluzioni innovative decisamente interessanti.

Un’interessante novità è la tecnologia di storage Cinecloud introdotta dall’italianissima Cinemeccanica (storico produttore di proiettori a pellicola), che ha esteso il concetto di streaming di rete alla gestione dei contenuti nei server cinematografici. In pratica, nell’architettura Cinecloud, non esistono più singoli server per ogni sala, il tutto viene sostituito da una singola unità centralizzata, organizzata a moduli, che esegue un vero e proprio streaming dei contenuti attraverso la theather network, direttamente agli IMB delle sale.

I vantaggi sono molteplici, oltre la possibilità di scambiare due sale “al volo”, la gestione dei contenuti e della libreria è decisamente più flessibile. Di contro, ovviamente, aumentano le criticità legate alle performance della rete (ragion per cui la stessa deve essere progettata e cablata a regola d’arte) e alla ridondanza dell’hardware (ogni modulo del sistema Cinecloud è dotato di generosi sovradimensionamenti).


D-Cinema - Digital projection Booth
Sistema Cinecloud di Cinemeccanica

Nel sistema Cinecloud di Cinemeccanica i singoli server di sala sono sostituiti da un’unità centrale, modularizzata a seconda del numero di schermi da servire, la quale invia in streaming tramite la theater network contenuti e comandi agli IMB delle varie sale.

Sempre all’interno della famiglia di prodotti Cinecloud è stato sviluppato anche un kit retrofit per proiettori, onde implementare una fonte di illuminazione laser. Cinemeccanica è stata la prima azienda al mondo ad investire e proporre sul mercato tale soluzione, altrimenti appannaggio di macchine completamente dedicate (e molto costose, oltre che ingombranti).

Con i suoi moduli esterni, i quali sono costituiti al loro interno da una serie diodi laser delle tre componenti cromatiche fondamentali, Cinecloud Lux fornisce attraverso un cavo in fibra ottica la luce bianca direttamente in ingresso alla lanterna del proiettore. Tale soluzione è adattabile agevolmente a qualsiasi marchio e modello di videoproiettore. Cinecloud Lux è attualmente già in uso in celebri strutture italiane come Arcadia a Melzo oppure IMG a Mestre.

D-Cinema - Digital projection Booth
Kit retrofit laser Cinecloud Lux di Cinemeccanica

Il proiettore viene modificato nella sua lanterna provvedendo l’ingresso di un cavo in fibra ottica, il quale porta un fascio di luce bianca. Tale luce bianca è generata all’interno di due rack di diodi laser, costituiti delle tre componenti cromatiche fondamentali RGB. I rack sono due in quanto si utilizzano due terne RGB leggermente diverse onde compensare l’effetto speckle (sistema 6P).

Rimanendo nell’ambito della videoproiezione vale la pena sicuramente citare le nuove macchine (tutte serie 2) introdotte da Sony. Esse abbandonano la classica matrice basata su tecnologia DLP a triplo chip, adottando invece la nuova SXRD (acronimo di Silicon X-tal Reflective Display, un sistema LCD riflessivo simile per concetto ai D-ILA di JVC). I vantaggi che ne derivano sono un rapporto di contrasto nettamente superiore ed un tempo di risposta molto inferiore rispetto i classici DLP, oltre a costi di produzione inferiori.

Le risoluzioni proposte da queste macchine sono 4K, riuscendo così a raggiungere un ottimo compromesso di costo grazie alla nuova tecnologia adottata. E’ questo il motivo per cui le installazioni Sony  trovano diffuso impiego presso le piccole sale, tipicamente auditorium, sale della comunità e comunali, dal momento che coniugano un’alta resa qualitativa ad investimenti abbastanza contenuti.

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Sony SRX-R515P

Le macchine Sony sono tutte serie 2, dotate di risoluzione 4K e tecnologia SXRD. Sulla sinistra si può vedere una tipica installazione di Sony SRX-R515p, sul cui frontale sono sistemate, su una slitta, le due diverse ottiche per proiezioni 2D e 3D. I Sony, infatti, basano le loro proiezioni 3D su sistemi passivi a polarizzazione circolare, visualizzando i fotogrammi 2K uno sopra l’altro all’interno del frame 4K, facendo quindi sovrapporre i due sullo schermo tramite la doppia ottica in figura. Sulla destra è invece mostrata la semplice procedura di sostituzione di una delle lampade UHP costituenti la sorgente luminosa.

Un’ulteriore novità introdotta su questi modelli riguarda la fonte di illuminazione. Essa è costituita da un array di sei lampade a mercurio ad alta pressione (UHP), molto similari per concetto a quelle che si usano nei proiettori domestici. Questa strategia progettuale consente l’utilizzo simultaneo di quattro lampade per generare il flusso luminoso necessario, lasciandone due in stand-by in caso di problemi. Viene da se come la sostituzione sia molto più agevole nonchè “differibile” rispetto la canonica lampada xenon singola.

Di contro, essendo le lampade a mercurio molto meno stabili dal punto di vista dell’emissione, la calibrazione delle macchine dovrà essere più frequente ed accurata. Per lo stesso motivo l’assistenza programmata diviene un punto fondamentale onde mantenere i sistemi affidabili, incidendo quindi sui costi in misura maggiore rispetto le controparti DLP.

Non da ultima va considerata l’innovazione sul lato audio. Se agli albori del cinema digitale è stato possibile “estendere” il suono dal 5.1 al 7.1, sfruttando le features della scheda Cat.790, formalmente introdotta per aggiungere ai CP650 la decodifica del Dolby Digital EX, ma prontamente aggiornata onde supportare anche il Dolby Surround 7.1 delle colonne DCP, non va scordata l’introduzione nel 2012 del nuovo sistema Dolby Atmos.

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Rack audio di un sistema Dolby Atmos.

In foto: in alto il processore audio Dolby CP850, subito sotto il DAC di collegamento ai finali Dolby Atmos Interface, connesso al processore tramite interfaccia proprietaria Dolby Connect.

Di questo abbiamo già dato ampio risalto in uno speciale tempo fa, ci limitiamo a sottolineare in questa sede quale sia stato l’impatto dell’introduzione di tale sistema nell’impiantistica D-cinema. La modifica sostanziale risiede nell’implementazione di un nuovo processore del suono, il Dolby CP850, ed un upgrade firmware che ha coinvolto gli IMB dei vari produttori, onde renderli compatibili all’estrazione dei metadati dal flusso audio decodificato.

L’impianto in se non differisce molto da uno classico, la differenza sostanziale è che oltre la connessione AES che dall’IMB porta i classici 5.1 o 7.1 canali al processore CP850, la quota parte di dati riferiti agli oggetti trattati dallo standard Atmos passa attraverso la projector network, essendo “streammata” dall’IMB al CP850 stesso. Ragion per cui, di nuovo, la stabilità delle connessioni di rete diventa un fattore ancora più critico. Per chi ha avuto modo di assistere ad una proiezione Atmos, questo è il motivo per cui, all’inizio del film, vengono inseriti dai 5 ai 10 secondi di nero onde consentire all’IMB e al CP850 di sincronizzare i dati scambiati via rete.

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Inserimento dell’hardware Dolby Atmos all’interno di un sistema Serie 2. L’IMB nel proiettore invia al CP850 via connessione digitale AES il contenuto “bed” 5.1/7.1; contemporaneamente, attraverso la projector network, invia le estensioni atmos al medesimo processore.

Infine, il CP850, diversamente dai suoi predecessori, non prevede un’uscita ai vari finali, piuttosto una connessione digitale proprietaria (Dolby Connect) diretta ad uno o più DAC specifici (e certificati Dolby Atmos), i quali indirizzano poi il segnale alla batteria di amplificatori finali.

 

Conclusioni e aspetto qualitativo

L’esercizio cinematografico odierno è oramai legato al 100% ai nuovi sistemi digitali appena descritti, dacchè il supporto analogico a pellicola (tranne eccezioni illustri come i film di Christopher Nolan o Quentin Tarantino) è del tutto uscito di produzione. Ne consegue che tutte le sale, gioco forza, hanno dovuto investire quote non indifferenti onde dotarsi di tutta una nuova generazione di macchine.

Questo ha portato indubbi vantaggi, sia economici (le copie DCP costano molto meno, sia dal lato produttivo che da quello distributivo, inoltre il personale necessario a supervisionare la proiezione è divenuto quasi inutile) che di qualità (i sistemi D-cinema, con una manutenzione minima, mantengono un’elevata qualità di riproduzione nel tempo).

Tali vantaggi, capeggiati dalla parte economica che ha “agito” come driver, sono stati promossi in modo consistente anche dalla stretta “concorrenza” che l’home theater andava mettendo in atto, grazie a tecnologie video ed audio che permettevano di avere in casa, in certi casi, qualità superiori alla sala cinematografica. Va quindi detto che l’intera operazione è stata condotta onde rendere nuovamente concorrenziale il cinema e dargli modo di offrire “uno step” aggiuntivo di qualità e versatilità non ottenibile a casa.

Allo stato attuale, tuttavia, ci troviamo di fronte una situazione opposta. Il settore home sta subendo una grossa crisi, promossa soprattutto da certi player compiacenti che propagandano l’immediatezza e la (relativa) comodità degli attuali servizi via internet come “panacea necessaria“, prescindendo completamente dalla qualità oggettiva del prodotto, inteso sempre più come “servizio”.

La mancata educazione qualitativa degli utenti, la stessa che riviste e pagine specializzate curavano fino qualche lustro fa con grande attenzione, sta producendo una generazione di utenti completamente slegata dal concetto di “vedere e sentire bene”. Questo lo si può già notare analizzando una determinata tipologia di pubblico cinematografico, il quale tende a non dare più risposte significative a chiari improvement tecnologici e qualitativi.

D-Cinema

Questo è anche uno dei principali motivi per cui gli investimenti di cui si parlava non vengono fatti. Questa “diseducazione” provocata da scarsa sensibilizzazione, quando non addirittura da colpevole volontarietà, causa un circolo vizioso nel quale, non investendo più in migliorie e nella minima manutenzione richiesta, tanto meno in personale adatto, la situazione nelle strutture precipita sempre più sotto i livelli di guardia. Pur non recependo le migliorie, il pubblico recepisce invece fin troppo bene i downgrade, finendo per disaffezionarsi alla visione in sala classica.

Considerato che il principale ritorno dei grossi investimenti filmici viene (ancora) dalle sale, c’è da chiedersi quale sarà il futuro dei contenuti (la cui quantità è oramai divenuta inversamente proporzionale alla qualità, artisticamente parlando) in un mondo che plaude un video ultra compresso con l’audio stereo, genuflettendosi alla centralità di un contenuto di dubbio valore.

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