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Cuffie chiuse: vantaggi, limiti e il rischio di “detuning” secondo l’headphone guru Axel Grell

cuffie chiuse

Le cuffie chiuse offrono un efficace isolamento, ma possono alterare l’equilibrio naturale dell’udito. L’ingegnere audio Axel Grell spiega come pressione e riflessioni interne influenzino percezione e fatica d’ascolto

Quando pensiamo alle cuffie con design chiuso, la prima associazione che viene in mente è quella con l’isolamento acustico: pochi disturbi esterni, musica più intima che non “fuoriesce” dai padiglioni, concentrazione garantita. Tuttavia, dietro questo apparente vantaggio si nasconde un effetto molto più complesso e meno intuitivo. Secondo Axel Grell, attuale CTO di HEAVYS e storico ingegnere di Sennheiser e mente dietro cuffie di culto come le HD 600, le HD 800 e le sontuose HE 1 (tutti modelli con design aperto), l’utilizzo delle cuffie chiuse potrebbe arrivare a “ritarare” il funzionamento naturale del nostro apparato uditivo.

Un’affermazione forte, che mette in discussione l’idea secondo cui la differenza tra cuffie aperte e chiuse sia soltanto questione di gusto o di esigenze pratiche. In realtà, come sostiene Grell in questa intervista, il modo in cui l’energia sonora interagisce con il condotto uditivo, con il padiglione auricolare e con la cassa di risonanza interna della cuffia può alterare non solo la percezione, ma persino il comportamento fisiologico delle nostre orecchie.

La pressione invisibile delle cuffie chiuse

Chiunque abbia indossato a lungo un paio di cuffie chiuse, conosce quella sensazione di pressione interna, come se l’aria fosse intrappolata. Questo fenomeno si lega in primo luogo al cosiddetto “effetto di occlusione”, per il quale, quando il condotto uditivo è completamente sigillato, le basse frequenze che normalmente si disperderebbero restano confinate all’interno. Il risultato è un suono più corposo ma anche più faticoso, perché il cervello lo percepisce come più denso e meno naturale.


Focal Stellia

Secondo Grell però l’effetto di occlusione non è che la punta dell’iceberg. Le cuffie chiuse creano infatti anche un ambiente acustico pieno di riflessioni interne, dal momento che le onde sonore rimbalzano tra driver, padiglioni e orecchio, generando micro-ritardi che alterano la naturale risposta del sistema uditivo. In altre parole, l’orecchio non lavora più nelle condizioni per cui è stato “progettato” dall’evoluzione, e questo porta a una sorta di “detuning”, un disallineamento rispetto al suo equilibrio ottimale.

A volumi elevati entra poi in gioco un altro meccanismo, ovvero il riflesso dei muscoli dell’orecchio medio, che si contraggono per proteggere la coclea da suoni troppo intensi. Se questo riflesso viene attivato più spesso del normale, la trasmissione del suono può risultare leggermente modificata anche a livelli non estremi, contribuendo al senso di affaticamento.

Ma esattamente cosa intende Grell per detuning? Si tratta di un insieme di conseguenze he emergono durante l’ascolto, iniziando dal fatto che alcune frequenze, soprattutto le più basse, possono sembrare meno incisive, spingendo l’utente ad alzare il volume. Al contrario, altre possono risultare enfatizzate, con un effetto di “boomy” poco naturale. Inoltre, la presenza di riflessioni interne genera piccole copie ritardate del segnale, che riducono la nitidezza e spostano l’immagine sonora all’interno della testa, piuttosto che nello spazio circostante.

Un altro sintono del detuning è la combinazione di pressione, riflessioni e attivazione del riflesso muscolare, che porta a una fatica uditiva crescente anche dopo sessioni d’ascolto relativamente brevi e a volumi moderati. Da qui nasce la percezione comune che le cuffie aperte suonino più naturali e trasparenti. Lasciando infatti sfogare l’energia sonora, il design aperto riduce drasticamente le riflessioni indesiderate. Il segreto, spiega Grell, sta nell’uso di materiali resistivi che consentano il passaggio dell’aria e del suono, ma in maniera controllata, evitando rimbalzi troppo marcati.

Fostex TH900mk2

Va comunque precisato che parlare di cuffie “aperte” e “chiuse” come categorie nette è una semplificazione. In realtà, si tratta di una connotazione in cui il grado di apertura dipende da come il design gestisce l’impedenza acustica, cioè la facilità con cui l’energia sonora può fluire verso l’esterno.

Anche le cuffie dichiaratamente aperte possono infatti generare riflessioni indesiderate se la griglia o i fori non sono progettati per smaltire correttamente l’energia. Ogni cambiamento di impedenza lungo il percorso del suono (dal driver al padiglione, passando per pad, griglie e condotti) comporta infatti una riflessione parziale. Il compromesso ideale, secondo l’ingegnere tedesco, è un’ampia superficie di apertura coperta da un materiale poroso che sia abbastanza aperta da lasciare uscire l’energia, ma sufficientemente resistiva da evitare riflessioni invasive e, allo stesso tempo, mantenere una certa pressione alle basse frequenze.

Il compromesso dei bassi

Il tallone d’Achille di questa strategia è proprio il registro grave. Più un design è aperto, meno pressione riesce a generare nel condotto uditivo, con conseguente perdita di impatto sui bassi. È il motivo per cui anche piccole perdite di aderenza dei pad (per colpa di occhiali, capelli o semplice usura) possono provocare variazioni anche enormi, fino a decine di decibel.

D’altra parte, un sigillo troppo stretto elimina queste perdite ma reintroduce il problema delle riflessioni. I design migliori devono quindi essere sufficientemente aperti per ridurre il detuning, ma non al punto da compromettere la resa in gamma bassa. L’esempio estremo di apertura è rappresentato da modelli come le mitiche AKG K1000, con i trasduttori posizionabili a distanza variabile dalle orecchie che creano un soundstage tridimensionale unico nel suo genere. Il risultato è una scena sonora incredibilmente ariosa e dettagliata ma quasi priva di bassi, proprio perché l’assenza di pressione impediva la corretta propagazione delle frequenze più profonde.

cuffie chiuse
AKG K1000

A differenza di parametri consolidati come risposta in frequenza o distorsione, l’“apertura” delle cuffie non ha ancora una metrica universalmente accettata né strumenti adatti, visto che quelli standard (dai simulatori auricolari IEC 60318-4 ai manichini HATS) descrivono molto bene ciò che accade tra driver e timpano, ma non misurano direttamente quanta energia ritorni indietro sotto forma di riflessioni. Esistono in realtà alcuni approcci che però rimangono relegati ad ambiti di ricerca professionali molto specifici, tanto che solo pochissimi esperti a livello globale sono in grado di misurare con precisione l’apertura di una cuffia.

Quanto detto fin qui non significa che le cuffie chiuse siano da evitare. Restano infatti modelli perfetti in scenari come studi di registrazione, viaggi o qualsiasi contesto dove l’isolamento è una priorità, ma bisogna essere consapevoli dei compromessi impliciti nel loro utilizzo. Chi ad esempio necessita di isolamento, dovrebbe orientarsi verso modelli che dichiarano soluzioni per ridurre le riflessioni interne come aperture ampie con materiali resistivi, assorbitori acustici posizionati strategicamente, o pad studiati per ridurre la pressione percepita.

Grell rivela un piccolo test empirico può essere rivelatore, ovvero indossare le cuffie in silenzio e parlare a bassa voce. Se la propria voce risuona in modo innaturale, quasi ovattato o pressurizzato, è segno che all’interno del padiglione si stanno verificando forti riflessioni. Allo stesso tempo, è bene diffidare dei rimedi “artigianali” come allentare i pad per creare fessure; se infatti è vero che ciò riduce la pressione, può anche azzerare del tutto la risposta in basso, trasformando la musica in un suono sottile e privo di corpo.

La manutenzione è un altro fattore cruciale. Pad consumati o deformati modificano il grado di sigillatura, con conseguenze dirette sulla resa sonora. Anche ascoltare a volumi moderati resta il consiglio più valido, perché i riflessi protettivi dell’orecchio entrano in gioco in funzione dell’intensità sonora.

Sony MDR-Z1R

Resta il fatto che sul mercato esistono delle eccellenti cuffie con design chiuso, come dimostrano questi cinque modelli:

  • Focal Stellia Top di gamma chiuso del marchio francese, con driver a cupola in berillio e un suono estremamente dettagliato ma bilanciato
  • Sony MDR-Z1R – Ammiraglia della linea Signature, nota per la scena sonora ampia nonostante il design chiuso e per la riproduzione profonda dei bassi
  • Audeze LCD-XC (2021) – Versione chiusa delle celebri planari LCD-X, con cupole in legno e firma sonora neutra ma molto coinvolgente
  • Denon AH-D9200 – Modello premium della serie Denon, con padiglioni in bambù giapponese e un timbro caldo, raffinato e musicale
  • Fostex TH900mk2 – Cuffia iconica, con driver al neodimio da 50 mm e padiglioni laccati Urushi, famosa per i bassi profondi e la resa spettacolare

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