Sesso, droga e poco rock’n roll nell’emblematico manifesto di giovani disperati nella Germania anni ’70
“Christiane F.” racconta la drammatica vita di una giovane (Natja Brunckhorst) nella Berlino anni ’70. Sotto un cielo costantemente plumbeo, in un disumano quartiere popolare Christiane abita assieme alla madre e alla sorellina. A malapena adolescente, appassionata di David Bowie, quasi abbandonata a se stessa dall’unico genitore troppo impegnato tra lavoro e un nuovo amore, la giovane cade ulteriormente in depressione in seguito all’allontanamento volontario della sorella che decide di andare a vivere col padre.
Non trovando di meglio da fare segue la compagna di classe Kessi in scorribande notturne che includono la costante frequentazione della rinomata discoteca Sound, ricettacolo di prostituzione e spaccio dove fa nuove amicizie provando per la prima volta l’LSD.
Tra le malsane conoscenze del locale notturno c’è il prostituto Detlef, coetaneo già assuefatto come tanti all’eroina con cui Christiane finisce per stringere legame sentimentale dopo l’allontanamento di Kessi. Inizialmente riluttante ad assumere stupefacenti pesanti, la ragazza finisce per convincersi a provare l’eroina prima inalandola e in seguito tramite iniezione: un altro modo per comunicare, per dimostrare di essere parte del gruppo che comunque, e almeno inizialmente, le restituisce attenzione, sentimenti di bassa lega ma comunque più veri di quelli percepiti tra le mura domestiche.
La discesa nel baratro è ben presto intrapresa: consumata anima e corpo Christiane non esita a rubare e prostituirsi pur di rimediare la dose quotidiana. Sempre più sola e abbandonata vaga senza meta verso un tragico destino cui nessuno sembra essere capace di sfuggire, nemmeno la sua amichetta Babette “Babsi” di soli 14 anni.
Girato nel 1980, uscito nelle sale a partire dal 1981 anche in Italia, ampiamente ispirato all’omonima biografia “Christiane F. – Wir Kinder vom Bahnhof Zoo” di Christiane Vera Felscherinow cui è altrettanto legato il personaggio principale interpretato dall’allora giovanissima attrice tedesca Natja Brunckhorst, classe 1966.
Dopo aver letto discordanti riflessioni di giornalisti dell’epoca alcuni dei quali non persero occasione per strumentalizzare politicamente la pellicola mi ritrovai ancor più incuriosito dallo scoprire in sala quanto l’opera si fosse spinta nel racconto dei drammatici giorni che segnarono per sempre la vita della vera protagonista, una rara sopravvissuta che all’alba dei suoi cinquant’anni ancora oggi porta indelebili i segni dell’infernale girone dantesco in cui si ritrovò poco più che bambina.
Christiane F narrava il profondo disagio giovanile delle metropoli di quegli anni, contribuì ad aprire gli occhi di un’opinione pubblica, non solo italiana, incredula di fronte alle devastanti ripercussioni psico-fisiche provocate dalla tossicodipendenza quando a fatica si connotavano termini ancora troppo astratti come ‘overdose’. Il film “Christiane F.” si inseriva in un contesto sociale complesso, affatto edificante quanto maledettamente reale, straziante, graficamente disturbante quanto onesto nell’incedere degli eventi.
Della regia venne incaricato quasi all’ultimo momento lo sconosciuto regista Ulrich Edel, aprendogli la strada a una discreta notorietà, lo stesso che fu poi dietro la cinepresa del modesto “Body Of Evidence – Il corpo del reato” in cui Madonna faceva il verso alla Sharon Stone di “Basic Instinct” ma che tengo soprattutto a segnalare per il riuscito e più recente “La banda Baader Meinhof”.
La maggior parte degli interpreti ancora minorenni era alla prima esperienza davanti alla cinepresa mentre per contestualizzare ulteriormente la narrazione vennero coinvolti veri tossicodipendenti, assidui frequentatori della grande stazione ferroviaria berlinese Zoologischer Garten. Curiosa l’incongruenza storica legata all’ascolto del brano Heroes cantato da David Bowie in versione tedesca, Helden, non incluso nel 33 giri compilation “ChangesOneBowie” che Christiane ascolta al capitolo 4, iconico manifesto musicale del film.
VIDEO
A distanza di 36 anni è praticamente impossibile ricordare Christiane F. nella sua interezza, presso IMDB.com è indicata una theatrical di 138 minuti oltre a una ‘Cut’ di 131 minuti e guarda caso la durata di questa prima edizione italiana Full HD è 130 minuti e 48 secondi, la medesima pubblicata in Germania dal 2012. Non saprei cosa possa essere stato tagliato ma tengo a precisare agli amanti delle edizioni integrali che permane il dubbio che questa sia speculare rispetto alla raccapricciante che all’epoca vidi in sala. Pellicola emblematica che meriterebbe ampia opera di restauro.
Nativa 35 mm con audio monofonico, Christiane F. venne girata in formato 1.66:1 che qui ritroviamo anche se 1.78:1 (1920 x 1080/23.97p) su disco doppio strato. La resa tecnica in sala fu purtroppo molto simile, con affogamenti parziali degli elementi inquadrati in molti dei passaggi meno luminosi, rumore che qui diventa impossibile da scindere da eventuali limiti di compressione, alcune inquadrature lasciano più l’impressione di provenire da mediocre materiale di repertorio.
Una cinematografia fredda con toni spesso bluastri che, nonostante la scarsità di mezzi, fu capace di trasmettere il senso di smarrimento dei protagonisti abbandonati a se stessi.
Tecnicamente anche peggio le poche riprese che vennero realizzate per contestualizzare il finto live di David Bowie: in tale frangente la troupe si recò presso un vero concerto (invero della band australiana AC/DC), dove non fu evidentemente possibile attrezzarsi con illuminazione più dignitosa.
Inferiore la precedente edizione francese HD e anche in Spagna è disponibile un Blu-ray ma censurato a 125 minuti.
AUDIO
La sezione audio può davvero poco rispetto alla base monoaurale di partenza, con doppia traccia DTS lossless 2.0 canali italiano e tedesco. Purtroppo la resa nella nostra lingua non è esaltante, con elementi intubati e inverosimilmente digitali, nettamente superiore la tedesca. A coloro che già conoscono la pellicola di Christiane F il consiglio di riviverla attraverso i dialoghi originali, non tanto per la resa tecnica (e gli inevitabili adattamenti della traduzione in italiano) quanto per il maggiore livello di coinvolgimento emotivo, aiutati dalla sottotitolazione.
EXTRA
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