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MY-FI AUDIO – Una necessaria (e logica) personalizzazione.

MY-FI AUDIO – Fatti salvi alcuni presupposti di base che devono inevitabilmente rimanere stabili, l’ascolto della musica è caratterizzato in maniera piuttosto evidente dai gusti personali. In altre parole, poiché non tutti sentiamo nello stesso modo, la tendenza è quella di personalizzare l’esperienza sonora nel modo più soddisfacente possibile.

MY-FI AUDIO: COSI È (SE VI PARE)

La citazione della notissima opera Pirandelliana è quanto mai consona al contesto preso in considerazione in questo articolo. Il soggetto di questo lavoro, infatti, ruota attorno all’inconsistenza di fondo relativamente alla verità assoluta, non solo praticamente inconoscibile, ma addirittura relativizzabile, ovvero personalizzabile da ciascuno di noi.

Ora, chiaramente si tratta di una forma di estremizzazione di quelle che potremmo definire scelte inconsapevoli, in ogni caso non troppo distante da quello che effettivamente accade in maniera più o meno cosciente.


Un’analisi sufficientemente approfondita del contesto – niente di eccessivamente complesso o contorto – mostra chiaramente come il solo scegliere una determinata apparecchiatura piuttosto che un’altra, sia di per se adeguato a far sì che si ottenga un dato risultato sonoro.

Forse non ci avete mai pensato più di tanto, ma il termine My-Fi – spesso utilizzato in senso dispregiativo verso coloro che a causa di determinate preferenze operano scelte di un certo tipo – è effettivamente qualcosa praticamente presente in ogni sistema audio esistente al mondo, anche il più complesso e costoso.

Una sorgente non può suonare autonomamente, deve essere necessariamente unita ad amplificatore e diffusori (oppure una cuffia) per funzionare, giusto? Situazione questa che, imponendo una scelta in merito ai prodotti che si ritengono degni, porta ad un risultato ben preciso. Soddisfacente o meno è discorso diverso, il sistema audio creatosi avrà determinate caratteristiche sonore derivanti dall’unione dei diversi componenti che ne fanno parte.

Pensateci bene: non siamo già di fronte ad una forma di My-Fi? Nel momento che scelgo un dato lettore piuttosto che un altro ho già – implicitamente – operato una scelta che connoterà in parte il risultato finale. L’amplificatore, i diffusori, i cavi e gli eventuali accessori che successivamente unirò tra loro – senza dimenticare l’importantissimo influsso dell’ambiente! – saranno essi stessi artefici di quel risultato finale che porterà a soddisfazione oppure frustrazione se privo di quella positiva sinergia che rende un impianto ad alta fedeltà, appunto, il più possibile vicino alla realtà.

Quello che sovente sfugge, almeno a mio avviso, è che il My-Fi è un normalissimo atteggiamento che chiunque – RIPETO E SOTTOLINEO CHIUNQUE – mette in essere allorquando effettui una scelta circa un determinato componente audio. Non vedo perché questo aspetto debba essere considerato negativo, sarebbe come se scegliendo una pizza gourmand – ovvero una delle numerose declinazioni di questo vanto gastronomico italiano che prescindono dalla classica margherita – ci si dovesse sentire in colpa o ciò fosse costituzionalmente sbagliato.

MY-FI AUDIO: L’IMPORTANZA DI UN ASCOLTO SODDISFACENTE

Molti anni fa conobbi un tizio pieno di soldi – circostanza che talvolta sembra quasi imporre scelte scellerate – il cui impianto era qualcosa di una complessità enorme, faceva venire il mal di testa al solo guardarlo. Chiaramente l’opulenza, più che le prestazioni, era l’aspetto massimamente considerato dal tizio che non pago di aver assemblato un vero mostro, aveva perseverato nell’unione di tanti e tali “processori di segnale” che veramente, pur con la massima benevolenza, si faceva fatica a realizzare quale fosse l’ideale sonoro di riferimento che gli girava in testa.

A due giradischi MICRO SEIKI DQX-1000, faceva seguito un’amplificazione SAE di alto livello (all’epoca tra i massimi esponenti della potenza in watt da fornire all’impianto), ben tre registratori a bobine – un TEAC, un TECHNICS ed un REVOX – ed altrettanti registratori a cassette, tra cui l’osannato NAKAMICHI 1000. Fin qui, bene o male potremmo anche starci, l’aspetto sconcertante era la mole di processori di segnale (così erano definiti all’epoca equalizzatori, compressori/espansori di dinamica ed altri accessori atti al trattamento del segnale) presenti in numero insolitamente elevato: tre equalizzatori tra grafici e parametrici della mitica OUTLINE, due espansori di dinamica DBX, un riverbero PIONEER e, ciliegina sulla torta, un analizzatore di spettro sempre a marchio OUTLINE. I diffusori? Due coppie di KLIPSCH CORNWALL quali anteriori ed una coppia di BOSE 901 con il loro equalizzatore (e siamo a 4!) come posteriori (sic).

Il mitico giradischi MICRO SEIKI DQX-1000 – qui nella versione equipaggiata con tre bracci – ancora oggi una cinematica eccellente!

Vedere seduto il suo proprietario con un sorriso enorme esattamente al centro dei diffusori – perché quello era il suo punto di ascolto – mi lasciò perplesso, se non altro per gli aspetti normalmente considerati in un sistema, ovvero palcoscenico virtuale e timbrica, assolutamente assente il primo e completamente stravolta la seconda. Ma lui era felice, felicissimo, per lui quello era il massimo della qualità sonora raggiungibile.

Altro mito reale: il fantastico NAKAMICHI 1000 ZXL, qui nella versione Gold

Ovviamente il sistema acceso era un tripudio di display, luci ed effetti tali da far impallidire anche l’albero esposto a P.zza San Pietro durante le festività natalizie, e quello credo sia stato il massimo dell’assurdo che io abbia mai visto in tutta la mia vita di appassionato.

Il Technics RS-1506US, eccellente rappresentante della categoria open reel

Ora, è chiaro che quanto riportato è emblematico di un contesto oramai assente (e per fortuna), ma nell’esatto momento in cui nasce il pensiero che porta alla sostituzione di un componente, frangente che nella vita di un appassionato si verifica piuttosto spesso, quello che ci si aspetta è una logica evoluzione delle prestazioni attuali, diversamente staremmo semplicemente fermi godendoci il risultato raggiunto. Non fa una piega, suppongo.

E dato che l’animo dell’appassionato medio è piuttosto agitato – quando non tumultuoso – il percorso che porta alla massima soddisfazione è fatto di sostituzioni, ritocchi, ottimizzazioni, arrangiamenti vari che – inevitabilmente – non sono altro che aggiustamenti continui affinché il suono emesso dal nostro impianto sia il più possibile vicino ai nostri gusti.

Come vogliamo chiamarlo tutto questo?

Logicamente – seppure la logica sia astratta e non riconducibile ad una specifica forma, dal che ne potrebbe derivare che ciascuno abbia la sua – se operassimo in maniera tale da privare il segnale originale delle caratteristiche che lo rendono fedele alla realtà, allora è chiaro che sconfineremmo in una sorta di personalizzazione eccessivamente caratterizzante al punto da stravolgere il messaggio autentico, ma onestamente a me non sembra che vi sia davvero qualcuno – anche in virtù dell’accresciuta consapevolezza circa gli aspetti maggiormente tecnici – che possa tendere a far questo.

MY-FI AUDIO: IN CONCLUSIONE

Mi riallaccio idealmente all’inizio di questo articolo, solo per rammentare che una verità sonora ovviamente esiste, può anche essere relativizzata – almeno in parte, considerando il differente timbro degli istrumenti che già di suo contribuisce alla scelta – ma non può e non deve essere alterata in modo profondo fino a renderla irriconoscibile, quello sarebbe un comportamento privo di senso che porterebbe ben presto a stanchezza di ascolto.

D’accordo quindi realizzare sistemi correlati ai nostri gusti, ma così come la bellezza presenta dei canoni ben delineati, allo stesso modo l’ascolto impone il rispetto di talune imprescindibili caratteristiche, occhio quindi a non esagerare.

Come al solito, ottimi ascolti!

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