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Streamer Audio: Servono davvero i Display giganti?

Ah, i vecchi tempi! Quando il vinile o il CD non erano solo musica, ma un’esperienza tattile completa. La copertina, il libretto, perfino l’odore della carta stampata raccontavano una storia. Era un vero e proprio rituale: scegliere l’album, estrarlo con cura, sfogliare le pagine per leggere i testi, i ringraziamenti o la formazione di quella band che tanto amavamo.

Poi, con l’inevitabile e illuminante progresso, è arrivata la musica ‘liquida’. Un torrente in piena che come effetto collaterale ha liquefatto non solo se stessa (la musica) ma anche copertine e libretti, trasformandoli da carta colorata e vissuta a treni di bit. Certo, per chi ascolta in mobilità , sfogliare un libretto fisico sarebbe una prodezza, ma per gli irriducibili dell’ascolto su poltrona – i cosiddetti audiofili – lo streaming ha lasciato un vuoto. Non tanto sulla qualità (ormai quasi indistinguibile per molti), quanto sull’assenza di quel corredo cartaceo che ha segnato gli ascolti di chi, come il sottoscritto, ha varcato la soglia dei cinquanta.

Display negli Streamer sempre più grandi: esigenza reale o marketing?

Il mercato, si sa, è un vulcano di idee. E così, mentre la musica si liquefaceva, i display degli streamer iniziavano ad allargarsi. “La tecnologia c’è, è disponibile. Perché non usarla per mostrare la copertina dell’album?”, si saranno detti. E via con schermi sempre più grandi, sempre più luminosi e, il più delle volte, touchscreen.


Peccato che il concetto stesso di musica liquida implichi un dispositivo di controllo remoto. Un tablet, uno smartphone (chi non ne ha almeno un paio in casa?) sono già lì, pronti a fare da telecomando universale. Gestiscono la selezione dei brani, le opzioni di riproduzione, naturalmente visualizzano le copertine ed i libretti (in pdf) e a volte consentono persino di controllare il volume. Il tablet è diventato l’estensione naturale del nostro sistema audio, un compagno indispensabile che teniamo, per definizione, accanto a noi. Eppure, a quanto pare, questo non era sufficiente.

Oggi assistiamo a un fiorire di elettroniche con display mastodontici, che trasformano un semplice lettore di Rete o DAC in un centro di comando visivo. Forse un tentativo, un po’ maldestro, di colmare il vuoto lasciato dall’esperienza tattile del vinile o dalla copertina fisica dei CD. Così assistiamo a prodotti che hanno dei display in grado di fare di tutto: W-Meter, sveglia, previsioni del tempo e tra non molto potremo anche controllare la temperatura del termostato di casa. Una complessità aggiunta, davvero non richiesta, e diciamocelo, assolutamente non indispensabile alla riproduzione audio. Se lo streamer fosse un orologio, tutte queste funzioni laterali le chiamerebbero “complicazioni”.

Il costo dell’apparire

Naturalmente, tutto questo ha un costo. E qui la domanda sorge spontanea (o meglio, un dubbio dovrebbe nascere nella mente di chi spende): se un dispositivo da mille euro è alloggiato in un blocco di alluminio massiccio, con un display che occupa l’intera parte frontale e una miriade di funzioni che nemmeno il Pentagono userebbe, allora quale percentuale di quei mille euro sta realmente andando a beneficio della musica, e quanta alla scenografia? Ah, la musica! Quasi dimenticavo fosse quello il vero scopo del dispositivo.

Sia chiaro: non c’è nulla di male nel desiderare un prodotto esteticamente gradevole e ricco di funzionalità, né tantomeno intendiamo criticare i marchi che fanno dell’estetica un vanto. Ma il dubbio rimane: a meno di non ascoltare in cuffia, con l’impianto a portata di mano, quanti di noi riescono davvero a godere di un display, per quanto grande, posizionato a diversi metri di distanza? E anche se fosse visibile, perché replicare ciò che possiamo già visualizzare e controllare con estrema comodità sul nostro tablet?

Marchi come HiFi Rose ed Eversolo, per citarne alcuni,  sono senza dubbio due esponenti di questa nuova frontiera, ostentando display grandi e ricchi di funzionalità.

Rose RS151

Altri produttori, scelgono invece la via del minimalismo. Marchi come Lumin o Luxman, ad esempio, optano per display più contenuti e con tecnologia OLED monocromatica, dichiarando esplicitamente l’intento di non contaminare il delicato percorso del segnale audio con interferenze elettromagnetiche indesiderate.

Luxman NT-07

Altri ancora, come i prodotti basati su Raspberry Pi (ad esempio alcuni Volumio e Holo Audio Red), solitamente non integrano alcun display. Difficile dire se sia più per pragmatismo, difficoltà implementativa o per filosofia concettuale.

Holo Audio Red

Zero Display, Massima Purezza: La Filosofia del Nuovo Streamer TEAC

In questo scenario, la notizia della presentazione del nuovo streamer TEAC NT-507T – un nome che racchiude al suo interno anche il prestigioso brand Esoteric – fa discutere. Il dispositivo si distingue dalla concorrenza grazie alle sue soluzioni tecniche di alto livello. Queste includono la porta di rete ottica SFP per l’isolamento galvanico e una porta USB con alimentazione e filtraggio dedicati. L’unità sfrutta inoltre la moderna tecnologia di streaming G4 Network Engine, concessa in licenza da Lumin, partner tecnologico di diversi marchi, tra cui TEAC. Con tali accortezze, ci si aspetterebbe un display che faccia “onore” a tanta complessità. E invece? Gli ingegneri TEAC, fieri rappresentanti dell’ingegno e del minimalismo giapponese hanno optato per… una manciata di microscopici LED sul frontale!

TEAC NT-507T – Pure Network Streaming Transport

Non solo questo nuovo trasporto di rete non presenta alcun display da mille nits – come se dovessimo scrutare una copertina dell’album al mare sotto il sole accecante – ma va oltre. Quei pochi, “miseri” LED, alimentati da un circuito dedicato (perché la purezza del segnale è sacra) possono essere totalmente spenti tramite un interruttore frontale. Questa è una dichiarazione d’intenti che favorisce un’esperienza d’ascolto pura e incontaminata, libera da distrazioni visive.

E il paradosso è che tutto questo arriva da un’azienda giapponese, in una nazione dove la Sharp Corporation fu pioniera nella commercializzazione dei display LCD già nel 1973. Sembra quasi un’abiura culturale, una rinuncia consapevole al proprio retaggio hi-tech, che ovviamente non avrebbero avuto alcuna difficoltà ad adottare.

Forse TEAC ci sta suggerendo che l’eleganza, nel mondo dell’audio, non è ostentazione visiva, ma risiede nella purezza e nella semplicità. E a ben vedere, non sembra affatto un’idea balzana, con buona pace di chi non mancherà di commentare, scuotendo la testa: “Ma con quello che costa, potevano almeno metterci un display come si deve!”.

E voi? Siete tra coloro che si lasciano abbagliare dal grosso display touchscreen? O siete con chi ancora crede che l’Hi-Fi debba, prima di qualunque altra cosa… suonare?

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