Nell’articolo precedente abbiamo esaminato le difficoltà che un neofita che decide di scoprire nuovi orizzonti musicali potrebbe incontrare, un cammino che prevede necessariamente qualche ostacolo.
In questo caso cerchiamo di fornire qualche idea relativamente alla musica jazz, anche questo un genere che in assenza di consigli iniziali non è semplice scandagliare.
Diversamente dal comparto classico – nel quale abbiamo a che fare con la medesima opera interpretata da differenti compagini orchestrali dirette dal maestro di turno – nel jazz ci troviamo di fronte a composizioni originali suonate di volta in volta.
Al massimo si assiste a rivisitazioni di lavori altrui di qualche pezzo ma difficilmente si assiste a (re)interpretazioni di un intero disco.
Sia come sia, anche qui la scelta non è affatto semplice, tra genere principale ed i vari sotto generi la confusione è in agguato.
Ma noi siamo qui (anche) per questo, per tentare di ben indirizzare coloro che intendessero avvicinarsi al mondo del jazz nel miglior modo possibile, ovvero evitando per quanto possibile cocenti delusioni.
Al pari del precedente articolo dedicato alla musica classica – che qui potete agevolmente leggere – pur senza troppo ripetersi va comunque sottolineato come anche il jazz, necessariamente, sia legato al particolare momento storico, culturale e sociale, un aspetto che gli fa assumere connotati parecchio differenti in relazione alla composizione dei pezzi.
Molto diversa, infatti, appare l’esposizione dei temi in relazione al motivo che ha portato alla loro scrittura; è così che in composizioni nate nel periodo che vedeva in essere un aspro conflitto tra bianchi e neri d’America troviamo temi altrettanto aspri e dissonanti, proprio per manifestare tale disagio.
Del pari diverso appare l’assetto compositivo post bellico, momento nel quale è necessaria una quanto mai opportuna leggerezza che favorisca la rimozione dei brutti ricordi legati al trascorso conflitto.
Insomma, come qualsiasi forma di espressione artistica, anche il jazz è sottoposto all’influsso storico, ove determinati periodi apportano suoni gioiosi e disimpegnati ve ne sono altri che impongono rimandi non necessariamente piacevoli (all’ascolto) essendo correlati a situazioni sociali di un certo impegno.
Kind of Blue – Miles Davis (1959)
Già da noi recensito in passato – qui potete leggere in merito – si tratta di un lavoro effettivamente seminale, qualcosa che meriterebbe di essere in possesso di qualunque appassionato – e questo a prescindere dal genere preferito – tanto questo disco si mostra trasversale.
Anche semplicemente incorniciato farebbe la sua meravigliosa figura, non fosse altro per l’iconica copertina.
Kenny Burrel – Midnight Blue (1967)
Pubblicato dalla mitica Blue Note – etichetta da sempre icona del jazz – vede all’opera uno dei maggiori chitarristi dell’area jazzistica accompagnato da altrettanto valenti comprimari, uno per tutti: Stanley Turrentine.
A ridosso del periodo in cui ogni disco era assimilabile ad un piccolo capolavoro di stile – diciamo dal ’55 in poi, un epoca davvero d’oro – questo lavoro permette di capire cosa esattamente significhino i termini classe e qualità della proposta.
Abbordabilissimo dal punto di vista dell’ascolto, suadente, rilassante ed incredibilmente ben inciso, un vero gioiello che siamo certi farà innamorare del genere più d’uno.
Timeless tales (for changing times) – J. Redman (1998)
In questo eccellente lavoro di uno dei migliori sassofonisti contemporanei – leggete qui per ulteriori consigli – è possibile ammirare l’assoluta maestria riservata a composizioni che affondano le loro radici nel pop, un genere che parrebbe avulso dall’essere (re)intepretato in chiave jazzistica.
I brani contenuti in questo lavoro – uniti ad altre interessantissime composizioni assi note – pescano nel repertorio di Gerschwin (Summertime) dei Beatles (Eleanor Rigby) di Stevie Wonder (Visions) ed addirittura di Prince (How Come U Don’t Call Me Anymore); circa quest’ultima, il notevole adattamento in chiave jazz chiarisce senza problemi come una grande composizione si presti ad essere rappresentata in modi inattesi, d’altronde la classe non è acqua.
Tra l’altro, è questo un lavoro che può essere considerato un disco di riferimento a tutti gli effetti, soprattutto per corpo ed estensione della gamma bassa, incredibilmente possente.
In conclusione
Altra saporita carne si aggiunge al vigoroso fuoco della sublime arte di far musica, un’attività che per fortuna sembra ancora in ottima forma malgrado i continui assalti che puntualmente immettono sul mercato materiale assai eccepibile.
Chiaramente AF è impegnata in prima linea nel fornire consigli che possano non solo accrescere culturalmente gli appassionati – e ci mancherebbe – ma anche razionalizzare l’investimento economico, consentendo di costituire una collezione di opere di sicuro valore in grado di resistere all’affronto dell’oblio.
Come al solito, ottimi ascolti!!!
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