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La musica, quella bella: Joshua Redman “Words Fall Short”

Ogni tanto ci piace segnalare ai nostri lettori qualche lavoro assolutamente degno di nota ed ovviamente molto ben suonante, soprattutto, per quanto possibile caratterizzato da quel binomio che sempre dovrebbe essere presente: qualità artistica e qualità sonora al medesimo livello, l’esatto contrario di quanto accadeva molti anni fa laddove dischi considerati di riferimento vantavano un prodigiosa presa di suono ma qualità artistiche davvero penose.

Fresco di stampa – è uscito il 20 giugno 2025 – arriva sul mercato il nuovo lavoro del sassofonista statunitense Joshua Redman, l’ex ragazzo prodigio che nell’ormai lontano 1991 vinse il prestigioso premio internazionale Theolonius Monk, ambito riconoscimento usualmente concesso ai migliori esponenti del jazz.

Di strada ne ha percorsa parecchia dall’epoca, un percorso iniziato con i classici standard per poi lentamente dirottare verso composizioni la cui scrittura, sebbene influenzata  dagli stilemi dell’ancora più famoso genitore – Dewey, noto esponente del free – non si discostavano troppo dal cliché mainstream ovvero urban di più moderna fattura.

Joshua Redman col suo fido sassofono (fonte Blue Note)

 

Il tempo però non passa invano, ed a quei lavori hanno fatto seguito opere sempre più audaci – forse troppo in qualche caso – che hanno caratterizzato lo stile di Joshua Redman rendendolo in qualche occasione leggermente ostico all’ascolto.


Poi però è avvenuto una sorta di dietrofront, contesto che ha ricondotto alle origini i suoni del suo strumento, anche forse per il ritrovato affiatamento con il quartetto degli inizi, rimesso insieme in occasione dell’eccellente lavoro pubblicato nel 2020 (Roundagain) da noi puntualmente recensito.

A questo ha fatto seguito “Where are we”, lavoro che ha inaugurato il contratto con la Blue Note, un’opera alquanto atipica e basata sulla forma canzone con il contributo della cantante Gabrielle Cavassa – disco abbastanza soporifero a dire il vero – questo a dispetto dello spazio strumentale che il nostro si è riservato e nonostante il contributo dei suoi notevoli partners.

Arriviamo quindi a “Words Fall Short”, secondo lavoro sotto l’egida della mitica Blue Note che vede il buon Joshua alla testa di un nuovo (e giovane) quartetto.

Altro giro altra corsa – ovvero back to the past – laddove l’ascolto delle prime note relative alle tre composizioni rese disponibili sulle varie piattaforme rendono manifesto il differente approccio compositivo.

“So it goes” inizia con una breve schermaglia tra il nostro e Melissa Aldana, eccellente tenorista di origine cilena che non sfigura affatto accanto a quello che ormai è possibile definire un gigante del jazz, per poi assumere le caratteristiche tipiche del miglior jazz contemporaneo.

Ben presto si aggiungono il pianoforte di Paul Cornish, (anche lui da poco sotto contratto Blue Note), il contrabbasso di Philip Norris e la batteria di Nazir Ebo, probabilmente il pulcino del gruppo visto che ha solo 23 anni.

Ebbene, un quartetto nero, fatto salvo Norris, in grado di produrre un jazz corposo e pieno, ricco di nuance timbriche degne dei giganti del passato (che siano loro quelli che nel futuro saranno definiti tali?) perfettamente coesi ed affiatati nell’accompagnare Redman ed il suo vibrante strumento.

Circa la qualità sonora, direi immancabilmente, non possiamo che esprimerci più che favorevolmente, sia perché Blue Note è marchio di qualità in senso assoluto sia per la qualità artistica che per la timbrica, e questo ben prima delle esclusive etichette per audiofili.

Pertanto – volendo fare il pelo ad ogni singolo strumento coinvolto nel progetto – iniziamo col dire che le sonorità sono quelle che praticamente da sempre caratterizzano il sound di questo artista: piene e corpose in generale, non solo in gamma bassa cui il termine corpo talvolta lascia indugiare anche troppo, ma anche nell’importantissimo medio, che trattandosi di sassofono potrebbe davvero creare fastidio all’ascolto laddove non ne fosse curata a mestiere la presa di suono; idem dicasi per la sonorità della già citata “collega” di strumento, davvero da tenere d’occhio, anzi, d’orecchio.

Contrabbasso dalla notevole presenza (com’è giusto che sia!) materico ed alonato, il che lascia emergere il fondamentale contributo della cassa armonica; pianoforte ben risonante ma senza esagerazioni di sorta, si sentono molto chiaramente sia l’azione dei martelletti sulle corde (soprattutto il feltro) che le risonanze della cassa armonica, due aspetti che anche qui caratterizzano la timbrica dello strumento.

La batteria dite? Fantastica – e lo dico da batterista, sebbene per diletto – morbida e sorniona (magari ciò dipende dallo stile del batterista, ma non temete che anche lo strumento in se, soprattutto le pelli, non è  davvero estraneo al risultato) sempre giustamente inserita nel contesto senza strafare, un dettaglio tutto fuorché poco significativo.

Restano le voci della già citata Cavassa, ottimamente ripresa e giustamente presente senza strafare, nonché la tromba della giovanissima nuova leva di origine asiatica Skylar Tang, il cui scintillante fraseggio contribuisce ad illuminare una delle composizioni di questo ottimo lavoro.

Pertanto: quale edizione del nuovo lavoro di Joshua Redman scegliere? Quello che è assolutamente certo è che sia il Vinile – se siete fortunati potreste riuscire a reperire l’edizione colorata – che il CD (del quale, per coloro interessati, esiste anche la versione SHM – Super High Material) non vi deluderanno, detto circa la qualità artistica, quella sonora è del pari molto elevata come d’altronde siamo da sempre abituati per quanto riguarda questo artista, per cui, fate la vostra scelta in base al peso che attribuite alla vostra sorgente; satisfaction guaranteed!

Come al solito, ottimi ascolti!!!

 

 

 

 

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