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Lynyrd Skynyrd: perché ricordare Gary Rossington

Lynyrd Skynyrd
Gary Rossington, Gibson SG

Difficile trovare le parole. Da appassionati di lunga data della musica, anzi della cultura, Southern Rock, fa male udire la scomparsa di uno degli ultimissimi grandi del genere. Invece, anche Gary Rossington, mitico chitarrista ritmico e solista dei Lynyrd Skynyrd, maestro dello slide, se n’è andato. Come al solito, non può che esserci una vena di risentimento da parte di chi, nel nostro Paese, è cultore della musica d’oltreoceano. Fra il grande cordoglio in Terra natia e la superficialità, il poco clamore che si sono respirati qua da noi vi è parecchia distanza. Bizzarro quando, invece, artisti di mediocre fattura vengono mitizzati, magari, perché di scuola inglese. Ma, si sa, l’Italia non ha mai brillato per coerenza e cultura musicale a livello di massa, salvo poi esasperarsi su pochi stilemi ben circoscritti. Si voglia dare un piccolo contributo per ricordare uno dei più talentuosi chitarristi americani, perché così è noto in Patria, dove il suo estro e la sua composizione hanno avuto un ruolo nel plasmare il rock made in USA.

Gary Rossington, Lynyrd Skynyrd. Cosa vi viene in mente? Ah, già: Sweet home Alabama, l’inno sudista per antonomasia. Qualcuno debolmente aggiungerà che c’è stato anche di più. Magari citerà Freebird, la lunga ballata nota per la dicotomia fra la melodia cantata, il mellotron e il lunghissimo assolo firmato da quel genio sregolato di Allen Collins. E qui iniziano le scempiaggini: fate un giro online fra i giornali, anche quotati, che negli scorsi giorni hanno riportato la notizia. Qualche esperto ha avuto l’ardire di attribuire l’assolo di quasi 10 minuti proprio al compianto Gary, quando, come detto, il chitarrista solista qui era Allen Collins, (principale chitarra solista della band spentosi ben 32 anni fa, nel 1990!).

Tutto questo per dire che nel nostro Paese forse non vi è mai stato un caso musicale più assurdo rispetto al trattamento del genere Southern. La faccenda è questa: se in America, e in parte anche in UK, specialmente dal 1976 in poi (Festival di Knebworth Fair) il Southern, e su tutti proprio i Lynyrd, erano considerati una delle esperienze più popolari e imponenti fra il rock USA, in Italia giunsero solamente pallide eco di questo fenomeno, invero, di massa.

Lynyrd Skynyrd
Lynyrd Skynyrd, Knebworth 1976. In questo festival andò in scena lo scontro fra i titani del rock inglese e americano. In questo modo venne descritto dalla stampa il duello fra Rolling Stones e Lynyrd Skynyrd, visti come i più temibili avversari d’oltreoceano degli Stones. Gary è al centro.

Ma perché un vero fenomeno culturale, celebre addirittura in Giappone, fu così tralasciato dai guru musicali del nostro Paese?

Come è possibile, ci chiediamo, che una band così drammaticamente importante sia stata, in Italia, così scarsamente nota quando grande parte della produzione rock-blues USA anni ’70 era, perlomeno, impregnata dallo stile, specialmente chitarristico, del Southern?


La verità è che, dagli States, arrivò veramente poco, su tutti Springsteen e Eagles (già si apprezza una certa pochezza quando si tratta di mostri sacri come Creedence, Boston o Fleetwood Mac). Interi generi, su tutti Lynyrd e Southern, imperanti in patria, vennero ignorati.

Chiarito lo scomodo arcano, soffermiamoci sull’importanza di Gary

Lynyrd Skynyrd
Street Survivors, 1977, MCA. Per molti, il canto del cigno del genere (Gary è il terzo in prima fila da sinistra). Alla sua sinistra colui che valse come Lincoln, come qualcuno disse: il leader e cantante Ronnie Van Zant.

 

La cultura della chitarra Southern, a parte la barzelletta della vulgata italiana, è nota e stimata da decenni. Non è un caso che diversi fra i chitarristi lodati come i più talentuosi fossero di questo genere. Vedasi Duane Allman (n. 2 al mondo nella lista 2003 dei più grandi chitarristi secondo Rolling Stone), Hughie Thomasson degli Outlaws, Allen Collins, Ed King, Steve Gaines degli stessi Lynyrd, Toy Caldwell dei Marshall Tucker.

Fra tutti, più morigerato e forse meno spettacolare dei suoi illustri colleghi, vale la pena di menzionare, fra i più rappresentativi, anche Rossington. Caratterizzato da uno stile che definiremmo meditato e tecnico, si distingueva per assoli potenti e vibranti, ricchi di Pathos, orchestrazione, note tirate e distorte (vedi Workin for MCA o Call me the Breeze).

Una costanza nella Band, rimase ininterrottamente dalla sua nascita (a parte lo iato fra 1977 e 1987, dopo il noto incidente aereo sul quale non ci soffermiamo) fino ad oggi, passando fra innumerevoli problemi di cuore, bypass ed uso eccessivo di antidolorifici (a causa delle ferite del 1977).

Se ne va, insomma, un’altra leggenda del verace Rock americano di elevatissima fattura. Un uomo che fu figlio della sua epoca e parte di un fenomeno culturale di iconica nomea anche oggi (andate a vedervi il seguito dei Lynyrd sulle piattaforme musicali streaming più note). Tranne, ovviamente, che in Italia. Nazione dove, di musica estera, a parte l’imperante progressive e qualche glam-rock, pare che non esista altro.

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