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LA PERCEZIONE DEL SUONO: REALTÀ OGGETTIVA O SOGGETTIVA?

L’apparato uditivo umano non presenta esattamente le stesse identiche caratteristiche in ciascuno di noi e sebbene il ciclo funzionale relativo alla percezione del suono sia il medesimo, due distinti soggetti, pur in presenza dello stesso stimolo sonoro, potrebbero provare sensazioni alquanto diverse. In altre parole, pur comprendendo entrambi che stanno ascoltando un determinato strumento, non necessariamente questo presenta caratteristiche timbriche perfettamente sovrapponibili a quelle udite dall’ascoltatore posto al nostro fianco.

LA PERCEZIONE DEL SUONO: UGUALE MA DIVERSA

Se così non fosse, non esisterebbe la sterminata mole di modelli rintracciabile nei cataloghi dei produttori: avremmo un unico e solo modello di sorgente, amplificatore o diffusore, in altre parole disporremmo dell’unico esemplare esistente di qualcosa atto alla riproduzione musicale, stop. E invece no, la scelta è talvolta veramente imbarazzante, complessa e perfino ansiogena tanto sterminata è la quantità di differenti modelli rintracciabili sul mercato, il timore di sbagliare l’acquisto è dietro l’angolo.

Questo spiega in parte quanto diverso sia l’approccio personale all’ascolto, la pletora di modelli cui è possibile rivolgere la propria attenzione è concretamente alta, ed a ben vedere ciascuno offre sfumature finemente diverse (talvolta nemmeno così sottili), ed è proprio questo che dimostra che la scelta fatta non è affatto casuale ma legata a fattori percettivi soggettivamente diversi.


In più di un’occasione mi è capitato di ascoltare un sistema ad alta fedeltà che a me personalmente dava determinate impressioni sonore, sensazioni non sempre in linea con quanto percepito dal mio compagno d’ascolto seduto di fianco a me. Eppure il segnale che raggiungeva le nostre orecchie era indiscutibilmente lo stesso, identico era l’ambiente e fatti salvi i pochi centimetri che separavano le nostre sedie, anche il punto d’ascolto era praticamente sovrapponibile. Eppure ciò che ascoltavamo – è proprio il caso di dirlo – suonava in modo diverso; ciò che a me sembrava squillante all’altro pareva giusto, come può essere?

LA PERCEZIONE DEL SUONO: SENTI CHE BEL COLORE

Al fine di meglio comprendere determinati aspetti del discorso è utile fare qualche esempio concreto, e per facilitare le cose useremo un parallelo che forse è più immediato e consente di cogliere “al volo” aspetti che potrebbero sfuggire, almeno in prima battuta: quello con i colori. Non a caso quindi la scelta dell’immagine di copertina.

La percezione del colore attraverso la vista avviene mediante delle specifiche cellule chiamate coni, organi di senso che raccolgono l’informazione luminosa trasformandola in segnale elettrico interpretabile dal cervello. Tre sono le tipologie di coni di cui siamo dotati: una sensibile al rosso, una al verde ed una al blu, quest’ultima quella più sensibile delle tre, il che spiega la sensazione di fastidio che talvolta si prova agli occhi nelle giornate particolarmente serene, quelle in cui il cielo ha quel colore intenso la cui dominante è – per l’appunto – un azzurro intenso.

Quando osserviamo un dato colore, al nostro cervello giungono le lunghezze d’onda (in tal caso sotto forma di stimolo luminoso) che lo caratterizzano e che raccolte da queste cellule, in diversa percentuale e successivamente per sommatoria, sintetizzano il risultato finale, ovvero comunicano al cervello l’informazione cromatica consentendogli di identificarla. Sapete anche che vi sono soggetti la cui percezione è alterata al punto da confondere i colori – i così detti daltonici – oppure, addirittura, dal non distinguerli in assoluto, nel qual caso si parla di acromatopsia, piuttosto rara ed assimilabile alla sordità.

Se ne deduce che lo stesso stimolo cromatico possa produrre sensazioni differenti in differenti soggetti.

Ebbene, quanto finora esposto relativamente ai colori è perfettamente sovrapponibile al senso dell’udito, dove a parità di stimolo sonoro, non necessariamente chi ascolta ha la stessa identica percezione del suo vicino. Forse non ci avete mai pensato ma è così e questo spiega – almeno in parte – perché alcuni preferiscano un certo tipo di connotato sonoro piuttosto che un altro. Percependo in maggiore evidenza la parte medio alta del messaggio piuttosto che la parte di bassa frequenza, logico che determinati suoni possano sembrare in evidenza eccessiva spingendo a preferire una timbrica più morbida; vero anche il contrario ovviamente, ove soggetti più sensibili alle basse frequenze ricerchino suoni maggiormente aperti.

LA PERCEZIONE DEL SUONO: TIMBRICA E PIACEVOLEZZA SONORA

Quanto illustrato nel precedente paragrafo introduce l’argomento principale di questo articolo: la ricerca di una timbrica aderente alle nostra percezione.

Qualsiasi appassionato di alta fedeltà sa bene che determinati dispositivi – siano essi sorgenti, amplificatori o diffusori – vantano caratteristiche precipue. Ciò non significa che determinati prodotti interpretino a piacimento il segnale che gli viene fornito, solo che quanto da essi riprodotto potrebbe (e di solito lo è a causa delle inevitabili mutue interazioni dell’elettronica che li compone) presentare delle caratterizzazioni, lievi sfumature che connotano il suono che li attraversa. Ho scritto lievi, che sarebbe la cosa più normale, seppure siano rintracciabili prodotti che influiscono pesantemente sul segnale rendendolo eccessivamente brillante oppure esageratamente morbido, in ogni caso poco aderenti all’originale. A tal proposito rammento una coppia di diffusori non più in produzione che disponeva di un attenuatore della via alta operante nell’ambito di +/- 10 dB (!) un valore veramente in grado di far danni seri alla timbrica.

Marchi come McINTOSH, ROTEL oppure MARANTZ sono connotati da sonorità alquanto differenti, un po’ come le KLIPSCH non esiste mezza misura: o li ami o li odi. Per certi versi mi viene in mente la nota contrapposizione DURAN DURAN vs SPANDAU BALLET, cosa che i più attempati ricorderanno come una delle più acerrime diatribe anni ’80, contesto che spingeva i rispettivi fan verso un tifo piuttosto fazioso nei confronti delle rispettive band, qualcosa che accade anche con i marchi citati.

In ogni caso, questa è la spia che certe scelte non sono fatte in maniera casuale ma assecondando quelle che sono le caratteristiche percettive personali, ed oggettivamente parlando non c’è assolutamente nulla di male nel farlo, d’altronde preferire un dato assetto sonoro in luogo di un altro non può certo essere classificato come una colpa.

LA PERCEZIONE DEL SUONO: LA NATURALEZZA DELL’ASCOLTO

Scorrendo le pagine cartacee o digitali di molte delle riviste di settore, durante test o prove più o meno approfondite, non è difficile leggere riferimenti alla naturalezza del suono. La stessa YAMAHA – praticamente da sempre – riporta sui propri prodotti la scritta NATURAL SOUND, evidente allusione al fatto che i propri apparecchi sono in grado di fornire una riproduzione molto aderente all’evento reale; guarda caso, proprio questo marchio è noto per avere una timbrica spostata verso le medio alte, dotato quindi di una certa brillantezza che in alcune configurazioni può rendere il suono aggressivo. Allo stesso modo, è noto che altri marchi hanno sonorità maggiormente morbide e corpose, dando un interpretazione del messaggio sonoro che può favorire chi predilige simili caratteristiche.

Addirittura nel campo delle valvole – cui notoriamente si attribuisce una sonorità più morbida e calda rispetto allo stato solido – non mancano esponenti il cui tratto sonoro tipico, malgrado l’uso dei tubi termoionici, non sia poi così valvolare. Un esempio? AUDIO RESEARCH e CONRAD JOHNSON, con il primo di certo più aperto del secondo, cosa che dimostra come anche chi produce strumenti atti alla riproduzione del suono, interpreti a suo modo qualcosa che in natura ha dei ben precisi connotati sonori.

A questo possiamo aggiungere che la ripresa sonora dell’evento, che se vogliamo corrisponde un po’ al big bang acustico da cui nasce tutto (passatemi questa singolare metafora), ha una immensa responsabilità verso quello che sarà il successivo ascolto. Anche nel caso delle etichette discografiche potremmo stilare una classifica di quelle il cui assetto sonoro è maggiormente rispettoso delle caratteristiche naturali di un evento: TELARC ed ECM tra le tante, rappresentano in modo eloquente quanto diverso possa essere l’approccio; in ogni caso, pur vantando caratteristiche piuttosto differenti, le registrazioni prodotte da queste etichette vanno senza alcun dubbio giudicate corrette.

Ed anche qui però ciascuno ha le proprie personali preferenze, ulteriore prova che non tutti sentiamo nello stesso identico modo.

LA PERCEZIONE DEL SUONO: RIASSUMENDO

Senza alcuna pretesa di esaustività – il discorso è invero molto coinvolgente ed ampiamente trattabile – si è cercato di fornire una chiave di lettura ulteriore e possibilmente meglio chiarificatrice di un fenomeno che a volte, anche in virtù di un certo immobilismo delle idee, potrebbe apparire scarsamente dinamico e legato a fattori immutabili. Quanto scritto, tenta di fornire una spiegazione logica a quello che taluni vedono in modo rigido, nell’errata convinzione che le cose siano immancabilmente uguali per ciascuno di noi, aspetto questo che porta sovente a male interpretare oppure a considerare quasi dogmatici determinati aspetti che invece, proprio perché variabili, possono essere determinanti all’ascolto.

Come sempre, ottimi ascolti!!!!

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