L’ACR raccoglie informazioni su qualsiasi cosa si guardi in TV, scoprite cosa fare e come impedire ingerenze nella propria privacy
ACR, acronimo di “Automatic Content Recognition” dietro cui si cela un sofisticato sistema di riconoscimento di quanto si sta visionando sul televisore. Non si tratta di statistiche di ascolto televisivo, per quello dal 1986 c’è l’Auditel col rilevamento tramite l’attuale ‘Meter’, apparato connesso a TV e linea telefonica che necessita della collaborazione del nucleo familiare e che ancora oggi decreta o meno il successo delle produzioni televisive.
Da quando il televisore piatto è diventato smart è sempre più computer e con sempre più app e sofisticati sistemi di tracciamento di quanto si possa immaginare. Non dovrebbe sorprendere più di tanto, specie quando si naviga per il digitale terrestre, ritrovarsi nella parte bassa dello schermo informative sulla privacy e richiesta di consenso dell’acquisizione dati, come accade in misura non dissimile coi cookie traccianti quando si naviga sul Web. Se per esempio si concentrasse la ricerca al computer di un qualsiasi accessorio di elettronica di consumo, una volta passati allo smartphone / tablet ci si ritroverebbe pubblicità legate alla medesima tipologia prodotto.
Ma scorrendo le memorie del tv in quanti si soffermano realmente a leggere quel testo sulla privacy che altrettanto velocemente scompare una volta confermato il fatidico “OK”, peraltro già preimpostato? Rispondendo “OK” sul telecomando pur di non esserne infastiditi si dà praticamente il via a una ‘prassi’ di raccolta, uso, divulgazione, conservazione ma anche tutela dei dati personali. “Tutela”? In tal senso quando ci si interroga sulla funzione di salvaguardia della propria sfera del privato ci si scontra con testi tipo “Se ci metti a disposizione i tuoi dati personali […] o se siamo noi a rilevarli […] ci dai l’autorizzazione a raccoglierli, conservarli e usarli”, dove il testo dovrebbe poi proseguire nella spiegazione dell’uso specifico.
Dove vadano a finire questi dati, per quanto restino in mano a chi e cosa poi se ne faccia realmente potrebbe suscitare preoccupazione. Di fatto per un’esperienza di navigazione sempre connessa la smart TV in cambio raccoglie dati su ciò che stiamo guardando. La profilazione dovrebbe avere scopi meramente di advertising, a tutela della privacy c’è o dovrebbe esserci il Garante per la protezione dei dati personali: questione che si pone in primis nei termini di essere realmente coscienti che l’apparato televisivo faccia il possibile per ‘capire chi sei per poi suggerire a terze parti cosa venderti’. Con l’ACR però si va oltre.
L’Automatic Content Recognition è una funzione di riconoscimento visivo in grado di identificare ogni annuncio, programma televisivo, film o telefilm non solo del digitale terrestre ma anche satellitare, streaming, via cavo o preregistrato su Blu-ray e DVD. Presente non solo sui TV ma anche sugli smartphone, l’ACR è una tecnologia di identificazione per riconoscere i contenuti riprodotti su un dispositivo multimediale o presenti in un file multimediale. ACR fornisce a ogni parte del contenuto una sorta di ‘impronta digitale‘, andando a incrociare basi dati generando altri dati e informazioni che iniziano a circolare.
Consente agli editori di fornire al mondo marketing preziosi suggerimenti su chi sta guardando, cosa e in che momento per una pubblicità più mirata, ma quanto può spingersi in avanti tale tracciamento? Certo non mancano le perplessità sul monitoraggio del comportamento dell’utente in misura sempre più precisa da parte dell’ACR, e ciò porta a domandarsi: se l’utente sapesse davvero quanto questo sistema sia in grado di monitorare, darebbe comunque il permesso? E ancora: esistono condizioni tali per cui si rischia il transito dei dati verso soggetti altri, andando oltre il suddetto compromesso emittente – consumatore?
La raccolta cronologica di quanto visualizzato a schermo include informazioni su reti, canali, siti Web visitati e programmi visualizzati sulla Smart TV e persino il tempo trascorso a guardarli. L’unico modo per combattere il ‘Grande Fratello’ (ovviamente quello di orwelliana memoria) e impedire un’emorragia di informazioni private consentendo a qualcuno di interrogarsi sul perché guardiamo ciò che stiamo guardando, resta quello di isolare il televisore dalla rete, confinandolo alla comunicazione zero: ciò implica inevitabilmente zero streaming e anche zero aggiornamenti.
Anche non utilizzando le specifiche app legate al marchio del televisore, lo stesso produttore può comunque catturare schermate di ciò che si sta visionando caricando le info su server. Se non si hanno attività illecite non si deve temere nulla, ma esistono condizioni tali per cui quanto è in visione faccia scattare un silenzioso segnale d’allarme? Esiste un limite nella sfera del lecito oltre il quale si rischia un diverso livello di monitoraggio dell’attività del televisore?
Per disfattisti e complottisti la privacy oggigiorno è diventata una barzelletta: smartphone, laptop, computer, assistenti vocali sempre più presenti tra IoT e domotica celano l’interesse a tracciare informazioni. Per quanto ne sappiamo l’ACR può sempre venire disattivato su qualsiasi televisore, benché ciascun produttore abbia un diverso software, una diversa modalità di accesso e testo diversamente comprensibile. Potrebbe non venire citato come acronimo, l’ACR si cela dietro termini come “servizi di informazione”, “Live Plus”, “raccolta dati”, “servizi per la televisione interattiva”.
Essere a conoscenza dell’ACR e decidere liberamente cosa far sapere al mondo al di fuori della propria abitazione è fondamentale, ma quanti hanno tempo e voglia di approfondire quei noiosi testi che scorrono specie quando si sta installando il nuovo televisore? Tra i tanti ‘recommendation engine’ che muovono le fila dietro brand come per esempio Philips, Sharp, Sony o Toshiba c’è “Samba TV”, software in auge da circa tredici anni e stazione di monitoraggio di quanto visionato su TV così come media player.
Lo sviluppatore Samba è californiano, al suo interno sono confluiti anche soggetti che in passato hanno contribuito alla nascita di BitTorrent, famoso client (legale) di distribuzione e condivisione file peer-to-peer. Sul sito dell’azienda è presente la specifica pagina “Do not sell my personal information”, a riprova che la privacy è argomento delicato quanto costantemente all’ordine del giorno.
Non dovrebbe esserci nulla da temere, purché si possiedano le giuste informazioni e si sappia come intervenire per non ritrovarsi ignari complici dell’altrui interesse. Secondo voi interpellando il servizio assistenza clienti di un qualsiasi brand di TV, quanti operatori saprebbero rispondere subito alla domanda: “mi spiega come disattivare l’ACR?”.
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