Nel 1987 “Opera” segnò il ritorno al thriller di Dario Argento, film tra i più grafici e censurati. Versione integrale da CG Entertainment e Cine Kult
In Opera seguiamo le ultime prove per la prima del Macbeth di Giuseppe Verdi quando la soprano, infastidita dalle moderne scelte registiche tra cui quella di impiegare corvi veri in scena, si allontana dal teatro rimanendo vittima di un incidente.
A sostituirla viene chiamata Betty (Cristina Marsillach), giovane promessa della lirica che nonostante l’insicurezza risolve egregiamente la serata ricevendo il plauso di critica e pubblico. Un successo artistico ben presto funestato da una catena di omicidi che la vedono coinvolta sempre in prima persona ma in qualità di spettatrice delle efferatezze compiute da un individuo mascherato, morbosamente connesso a Betty e alla sua famiglia.
Nel 1987 decisi di dare una seconda chance al maestro Dario Argento recandomi al cinema a vedere Opera dopo il precedente Phenomena, primo ‘capitombolo’ artistico dopo anni di film apprezzati e apprezzabili come gli straordinari Profondo rosso, Suspiria e Inferno cui aggiungo l’eccellente Tenebre oltre a precedenti superbe produzioni.
Erano anni in cui Argento proseguiva la sperimentazione, osava andando oltre le dinamiche visive di racconti di per se già pieni di suspense negli script, palpabile tensione in una perfetta armonia di immagini, suoni e musica. Ricordo quanto si parlò dell’uso della steadycam nell’insulso Phenomena, penalizzato da una sceneggiatura (e mise-en-scène) affatto convincente quanto quella di Opera.
Anni difficili col CGI di là da venire e una ricerca estetica che comunque seppe raggiungere vertici d’eccellenza: sequenze oniriche, il carrello all’indietro presso la sartoria del teatro allontanandosi dalla costumista qualche minuto prima del suo omicidio, la complessa e costosa struttura aerea alloggiata nel soffitto del teatro che emulava la soggettiva del volo circolare dei corvi, il dettaglio del proiettile sparato dal serial killer che trapassando lo spioncino uccide il personaggio di Daria Nicolodi. Splendidi esercizi di stile.
Allo stesso modo già all’epoca ritenevo bollito indugiare eccessivamente su primissimi piani e dettagli scenografici ‘alla Argento’, deprecabili scelte reiterate allo sfinimento anche nei successivi film, passaggi ripetitivi a suffragio di atmosfere e psicologia dei personaggi sempre più vuoti. Forzato a correzione della sceneggiatura trovai il voice over del regista, in particolare nell’epilogo su suolo svizzero, ridicolizzando la promessa della lirica che assieme alle immagini finiva congedata come una sorta di Heidi con problemi mentali.
Durante questa nuova visione ho scorto anche un’imperfezione visiva, ovvero il riflesso su uno specchio della cinepresa nel corso di un carrello sempre nel locale sartoria, lo segnalo per dovere di cronaca ma non a demerito della realizzazione, a costo di passare per ‘ant fucker’ (termine dispregiativo che indica il tipico spacca capelli), come lo stesso Franco Ferrini tiene a sottolineare negli extra, sceneggiatore anche valente (ha partecipato alla stesura di C’era una volta in America) ma autore di script di discutibile fattura legati a molti dei più recenti insuccessi artistici di Argento, su tutti “Il cartaio”.
Infarcito di alcuni passaggi gore, Opera subì pesanti tagli censori (l’edizione USA all’epoca contava 88 min.) ma per fortuna questa edizione Blu-ray lo ha restituito alla sua pienezza artistica di 107 min. Più d’ogni altra cosa rivedere Opera a distanza di trent’anni dalla sala mi ha riportato alla memoria le risa involontariamente provocate al sottoscritto e vicini di poltrona ogni qual volta i momenti più truculenti sono accompagnati da musica heavy metal (cui contribuirono la band italiana Steel Grave e la svedese Norden Light), in netta contrapposizione con l’abbondanza di brani operistici di Verdi, Puccini e Bellini: sulla carta sarà anche sembrata una grande idea ma il risultato è ridicolizzante. Sarebbe stato meglio se la colonna sonora l’avesse composta e curata integralmente il maestro Claudio Simonetti.
A peggiorare ulteriormente la situazione parte del cast inappropriato tra cui il sovrintendente al teatro, l’aiuto regista e il commissario che proprio non convincono e contribuiscono a far scemare un già risicato appeal. La sceneggiatura, firmata da Dario Argento e Franco Ferrini, ha guizzi significativi come il cerotto con gli aghi che obbliga a tenere gli occhi aperti stile “Arancia meccanica” ma sono troppi i cali di materia cerebrale tra cui annovero la rivelazione degli inquirenti che il cadavere carbonizzato dell’assassino è un manichino (qui la spiegazione di Ferrini negli extra si regge sugli stuzzicadenti) così come il succitato epilogo per le valli svizzere (con autocitazione di Quattro mosche di velluto grigio) con tono narrativo e messinscena che definire ridicoli è un complimento.
Nonostante il riscontro ai botteghini con un guadagno attorno ai 7 miliardi delle vecchie lire non possiamo definirlo un vero e proprio successo dal momento che ho trovato indicazione che furono ben 9 i miliardi investiti nella produzione. Per chi ama Dario Argento, costi quel che costi.
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AUDIO
Scansando il Dolby Digital 2.0 canali (224 kbps) in assoluto l’ascolto dovrebbe essere condotto attraverso il superiore DTS-HD Master Audio 2.0 canali, che offre un più elevato volume d’ascolto ma anche e soprattutto ulteriore apertura nei numerosi passaggi musicali e rifinitura sugli elementi in secondo piano. Benché recitato in lingua inglese, ricordiamo che la scelta delle due speculari tracce in originale implica la presenza di un fastidioso soffio di fondo, ancor più evidente con la traccia lossless, un vero peccato.
EXTRA
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