Annosa questione: avrà senso porre, in una catena hi-fi, magari anche di discreto livello, un ampli professionale? Si tratta di una scelta, a volte, motivata da un risparmio ingente nell’acquisto di un amplificatore di potenza. Non è un segreto come siano ben più accessibili gli ampli professionali, anche capaci di grandi potenze, rispetto agli omologhi hi-fi. Eppure, nel nostro Paese, tale consuetudine, altrove di successo, non ha mai realmente sfondato. Forse proprio per via del concetto, tutto europeo, d’alta fedeltà come oggettistica di lusso da esporre in salotto, piuttosto che impianto di pura ed esuberante potenza. Ma quali saranno i vantaggi di una simile implementazione? Quali, i possibili modelli valutabili ed i loro prezzi? Vediamolo insieme.
Un cavo RCA, o magari bilanciato, proveniente da un preamplificatore d’alta fedeltà in ingresso in un ampli professionale, di quelli che si utilizzano per amplificare grandi ambienti ad alto volume o studi di registrazione. Uno di quei parallelepipedi poco eleganti, certamente non stilosi, equipaggiati con vistose ventole di areazione e struttura rack. Magari con sistema bridge e potenza sopra i 1000 W (classe D, è ovvio).
Quanto descritto per immagini è qualcosa di differente dalla nostra idea di hi-fi. Gli amplificatori pro nascono per offrire potenza e per veicolarla in grandi spazi. Negli ultimi anni, però, molto è cambiato, ed alcune di queste macchine hanno iniziato ad essere più raffinate, addirittura presentate come alternative all’ampli ortodosso hi-fi. Sistemi che, come affermato da una nota azienda, promettono di garantire le prestazioni audiophile senza il prezzo degli amplificatori audiophile.
Sarà davvero così? Facciamo chiarezza
Evitiamo slanci retorici: l’ampli professionale nasce per amplificare, anzi, pompare, musica forte e chiara in ambienti aperti così da raggiungere anche il pubblico più distante con determinate frequenze. Quelle che devono essere percepite dal vivo da tutti. Insomma: si bada al sodo. Gli intenti non sono riposti nella riproduzione sopraffina, bensì in una componente, diciamo, più baccanale ed estatica della musica.
Nonostante esistano modelli caratterizzati dai prezzi più disparati e dalle prestazioni differenti, fra classe di funzionamento AB o Digital, è chiaro come il loro obiettivo sia ben diverso da quello dell’hi-end dai caratteri esoterici. Insomma, inutile indugiare su vane prove comparative, che eppure abbiamo potuto effettuare, per dimostrare le qualità soniche a vantaggio degli amplificatori hi-end rispetto ai professionali.
Se la partita non si gioca fra professionali e hi-end, diverso è quello che certi professionali possono offrire se paragonati alla gamma media hi-fi. Qui, un loro intelligente e ponderato utilizzo potrebbe riservare notevoli sorprese.
Certamente, macchine come i Behringer possono essere ottimi strumenti se si tratta di musica dal vivo o di party-music. Non ci sentiamo di consigliarli, però, in campo hi-fi, dove la loro resa non pare attinente al nostra semantica riferita al concetto d’alta fedeltà. Ciò non toglie che in altre realtà siano macchine valide e robustissime anche se usate con finalità musicali casalinghe.
Tipico, in questo senso, è l’atipicità dell’hi-fi USA dove a contare maggiormente sono la potenza bruta e la corrente, e meno le sfumature e la pura naturalezza degli strumenti da noi ricercate.
Un suono netto, tagliato con la scure
Cosa capita, però, se, nel nostro sistema hi-fi, poniamo un ampli professionale di maggiore spessore?
L’ottimo Yamaha PX10, un peso massimo fra i classe D professionali, con 2 x 1000W veri a 8ohms, PEQ, crossover e filtri aggiustabili ha dimostrato qualità interessanti. Certo, ha mostrato il fianco a limiti se paragonato al cugino A-S3000, il penultimo top di gamma degli integrati della casa dei tre diapason (ora c’è l’A-S3200). Il suono, infatti, vellutato e aperto ad ogni sfumatura, con l’usuale chiarezza del natural sound Yamaha, dell’ortodosso AS è parso assai più audiophile rispetto alla razionalità ed al rigore manifestati dal PX.
Ecco, potremmo descrivere il suono di questo professionale come tagliato con la scure. Questo finale in classe D, anche se professionale, non suona affatto male. All’opposto, è preciso e puntuale nell’erogazione, netto nella resa: mai sottotono, sonorità esposte con potenza, quasi con rabbia. Una resa che va dritta al bersaglio: non sono il suo forte le riproduzioni di quelle frequenze nascoste, di quelle atmosfere dense e stratificate tipiche dell’alta fedeltà. Nel complesso, però, ha stupito più che tanti entry/mid-level hi-fi.
È proprio qui che un ampli del genere può risultare interessante. Con circa €1.200 è possibile garantirsi una sorgente inesauribile di potenza. Sonorità esuberanti e potenti, molto live, con la tipica razionalizzazione delle sonorità che si apprezza in un concerto. Suoni forti, semplici, ma cristallini.
Rispetto ad un mid-level hi-fi alla stessa cifra, la potenza e la corrente (notevoli le capacità con diffusori ostici e duri) sono superiori e possono fare felice colui che cerca una resa muscolare e d’impatto, di certo molto all’americana.
E qui ritorna la querelle fra hi-fi europeo ed americano. Non avrebbe senso proclamare un vincitore (che chiaramente non c’é), ma qui, con simili ampli tutto pepe, c’è da divertirsi.
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