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Chi fa da sé fa per tre: sarà vero? (Prima parte)

autocostruzione

Il riuscire a fare qualcosa da soli è sempre una grande soddisfazione, non fosse altro per il risparmio di denaro relativo alla manodopera, visto che molto spesso i materiali hanno un costo abbastanza economico e generalmente abbordabile, lo si vede facilmente nell’edilizia. Il problema è però la messa in pratica, l’autocostruzione non alla portata di tutti poiché non tutti disponiamo della stessa manualità, esperienza ed intuizione circa il da farsi davanti ad una criticità che dovessimo riscontrare durante l’opera. E in alta fedeltà come funziona?

Per quanto riguarda l’alta fedeltà la circostanza non è molto diversa, fin troppo spesso il pensiero corre in avanti inducendo a credere che realizzare da soli un componente audio sia mediamente alla portata di tutti, soprattutto i diffusori, visti come qualcosa di più semplice autocostruzione rispetto alle elettroniche.

Qualche tempo fa – in questo articolo – abbiamo esaminato a volo radente quelle che possono essere le criticità riscontrabili nel realizzare da soli un dispositivo ad alta fedeltà, e seppure raggiungere il traguardo con successo potrebbe capitare – come in questo caso – mediamente parlando non è così semplice.

Eloquente esempio di un diffusore DIY di elevato livello: indubbia la capacità del suo realizzatore

Al fine di meglio far comprendere quali siano le dinamiche celate dietro al progetto di un diffusore abbiamo deciso di fare un esempio concreto, soprattutto a favore dei più volenterosi, ovvero coloro disposti ad investire una certa quantità di denaro e soprattutto dei neofiti, altra tipologia di (neo)appassionato che potrebbe essere indotto a ritenere che far da sé sia la strada migliore.


Per semplificare abbiamo ipotizzato la realizzazione di un due vie – tipologia mediamente più facile da mettere in pratica – sempre prendendo tale affermazione nel giusto senso.

UN SEMPLICE (?) PROGETTO A DUE VIE

Da qualche parte si deve pur partire, ed alla base di un diffusore c’è sicuramente la tipologia di carico in bassa frequenza: sospensione pneumatica oppure bass reflex? E se lo facessimo in linea di trasmissione? Dicono suoni meglio di tutti in basso.

Stabilito il carico – che per facilitare le cose assumeremo essere in bass reflex – emerge immediatamente una criticità: quale altoparlante utilizzare? perché ovviamente sapete bene che non tutti gli altoparlanti si prestano a determinate configurazioni, occorrono quelli giusti, ovvero adatti ad essere usati in reflex.

Ovviamente poi anche il tweeter dovrà essere idoneo, sia per quanto riguarda la sensibilità – che seppure adattabile elettricamente mediante il crossover, in linea di massima è bene che sia simile a quella del woofer al fine di non operare eccessivi ed inutili livellamenti – ma anche per quanto riguarda il loro matrimonio “in frequenza” laddove non ci siano sovrapposizioni deleterie; altra scelta non facilissima.

Nel caso quindi fossimo partiti al contrario, ovvero scegliendo per primo il woofer da noi ritenuto valido per il nostro progetto – ebbene sì- saremo costretti a tornare indietro perché in fin dei conti abbiamo a che fare con un composto binario, il cui risultato è notoriamente legato alla sinergia dei due componenti, nel nostro caso l’altoparlante ed il carico.

Accertato che questo sia adatto per essere configurato in reflex, si passa al calcolo del volume necessario al corretto funzionamento e soprattutto – aspetto affatto secondario – a quello dei condotti di accordo, croce e delizia di questa tipologia di carico, altrimenti di quale alta fedeltà andiamo parlando?

Grafico riferito al driver CIARE PM-160: in rosso la risposta in frequenza, in blu la curva dell’impedenza

Di calcolatori online e software specifici ne è pieno il mondo, ma il vero problema non è tanto l’inserimento dei parametri di Thiele & Small al fine di ottenere la giusta volumetria del cabinet – dati usualmente forniti con il driver – ma l’interpretazione del risultato, inteso come grafico della risposta in frequenza, sempre che se ne abbia uno da osservare: siete in grado di comprendere esattamente cosa vi racconta quel grafico?

Picchi, buchi e dislivelli vari della risposta in frequenza non sono evidenziati a caso, servono a comprendere come quell’altoparlante si comporta in camera anecoica e come lo farà in quel volume – o almeno potrebbe, si tratta pur sempre di una simulazione e come tale potrebbe non tenere da conto tutte le variabili – e quali potrebbero essere le caratteristiche che potrebbero riflettersi nel suono riprodotto, aspetti non certo secondari la cui interpretazione è necessaria per proseguire nel progetto.

Ammettiamo di essere riusciti a configurare il carico in modo giusto, diciamo mediamente affidabile – quindi potenzialmente in grado di produrre un suono realmente ad alta fedeltà – è ora il caso di prendere in considerazione la realizzazione del cabinet, se non altro le misure giuste a prescindere dal volume e connesse allo spessore del legno utilizzato.

E parlando di legno…meglio il multistrato marino? quello di betulla? l’MDF oppure l’HDF? e chi lo taglia? soprattutto con che precisione lo taglia? e se affidassi la realizzazione ad un falegname? Queste sono le domande che successivamente si affacceranno nella mente di chi intenda realizzare un diffusore da sé, inevitabilmente.

Realizzato il cabinet, passiamo al montaggio degli altoparlanti, bene o male eseguibile senza troppe difficoltà – almeno per coloro ben dotati dal punto di vista della manualità – al loro cablaggio (a proposito, che cavi utilizzare?) ed alla loro connessione con il crossover.

Giusto, il crossover…e come lo realizziamo codesto filtro? 6dB/ottava? Meglio 12? Magari 18? Lo vedremo nella prossima puntata, restate sintonizzati.

Come al solito, ottimi ascolti!!!

© 2022, MBEditore – TPFF srl. Riproduzione riservata.

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