AF Focus Hi-Fi Notizie Tecnologie Tendenze

Me lo faccio monofonico? Il grande dilemma del finale di potenza

Vantaggi reali, limiti, differenze tecniche, qualità sonora e tre modelli consigliati per capire quando il salto a una coppia di finali monofonici fa davvero la differenza

In questo periodo, in cui la “scimmia audiofila” è pesantemente tentata dai regali natalizi, mi trovo di fronte a un bivio cruciale che ogni audiofilo, a un certo punto del suo percorso, deve affrontare: è arrivato il tanto temuto momento per un finale di potenza? Ma non un finale qualsiasi. La vera domanda è se puntare sulla comodità e l’efficienza di un finale stereo, oppure se sia giunta l’ora di fare il grande salto verso la purezza e l’architettura intransigente di una coppia di finali monofonici.

Prima di addentrarmi nell’argomento, è fondamentale ricordare che, scegliendo un finale di potenza separato, che sia un blocco stereo o una coppia di monofonici, si presuppone la presenza di un preamplificatore dedicato, un componente cruciale non solo per la selezione delle sorgenti, ma soprattutto per fornire lo stadio di guadagno in tensione e il controllo del volume necessari prima che il segnale arrivi al finale per l’amplificazione.

Cosa definisce un monofonico?

Un finale di potenza monofonico, o mono-block, è per sua natura l’espressione più pura e disinibita della potenza in amplificazione. Il suo scopo è ospitare, isolare e dedicare l’intero circuito di amplificazione (alimentazione, stadio di guadagno, stadio finale) a un unico canale, che sia il sinistro o il destro.


La caratteristica più distintiva e fondamentale risiede nell’alimentazione. In un finale stereo, anche in quelli con architettura Dual-Mono dove i canali sinistro e destro possiedono circuiti di raddrizzamento, filtraggio e stadi di regolazione completamente separati, l’intero sistema è quasi sempre alimentato da un singolo trasformatore principale (spesso un massiccio toroidale).

Questo singolo trasformatore, sebbene possa disporre di avvolgimenti secondari separati per i due canali, rimane il punto di connessione comune e il collo di bottiglia potenziale. Le dinamiche musicali più impegnative su un canale (immaginatevi un improvviso, potente colpo di timpano sul canale sinistro) impongono una richiesta istantanea di corrente che causa una micro-variazione di carico sull’intero nucleo magnetico del trasformatore. Questa fluttuazione, seppur minima e parzialmente mitigata dai circuiti dual-mono successivi, può indurre un’interferenza nella tensione erogata al canale opposto. Questo è il residuo di crosstalk indotto dall’alimentazione che, a livelli di altissima fedeltà, si cerca di eliminare.

Al contrario, il finale monofonico possiede un alimentatore completamente dedicato e fisicamente isolato per un solo canale. Montando due trasformatori completamente separati in due telai distinti, si ottiene un isolamento magnetico e fisico assoluto. L’eliminazione del crosstalk indotto dalla condivisione anche solo del trasformatore principale è il primo e più grande passo verso l’eccellenza, garantendo che le riserve di potenza di un canale non vengano mai intaccate dalle esigenze dinamiche dell’altro.

Inoltre, l’architettura fisica del monofonico è quasi sempre sinonimo di circuito dual-mono spinto all’estremo limite. Non solo i percorsi del segnale sono intrinsecamente più brevi e ottimizzati, ma l’ampia separazione fisica tra i componenti critici riduce drasticamente le interferenze elettromagnetiche (EMI) e quelle a radiofrequenza (RFI).

Si crea una sorta di guscio protettivo per il segnale musicale, garantendo che ciò che entra nello stadio finale sia il più incontaminato possibile. Infine, non è raro trovare finali monofonici progettati per operare in Classe A o con configurazioni push-pull bilanciate estremamente complesse, possibili solo quando l’ingegneria non è vincolata dalla necessità di raddoppiare tutto nello stesso telaio.

Perché scegliere due monofonici?

La decisione di passare a due monofonici non è motivata da un semplice vezzo estetico, ma da una serie di vantaggi tecnici intrinseci che si traducono direttamente in un miglioramento percepibile della qualità sonora.

Il primo e più cruciale beneficio è la separazione dei canali (crosstalk) quasi perfetta. Come appena accennato, l’alimentazione dedicata e l’isolamento fisico rimuovono la diafonia (crosstalk) quasi totalmente. Questo non si traduce solo in numeri migliori sulla scheda tecnica, ma in una scena sonora più ampia, profonda e tridimensionale. Gli strumenti sono posizionati nello spazio con una precisione chirurgica, con l’aria e il vuoto che li circondano ben definiti. L’immagine stereo acquisisce una solidità che un amplificatore stereo, per quanto ben progettato, difficilmente può eguagliare.

Il secondo vantaggio è la gestione della potenza e della dinamica. Poiché l’amplificatore è dedicato a una singola via, può concentrare le sue risorse per pilotare carichi complessi con assoluta autorità. I finali monofonici eccellono anche nel mantenere il controllo su diffusori esigenti o a bassa impedenza. Durante i passaggi musicali più dinamici, la capacità di erogare corrente istantaneamente è immensa. Il risultato (generalmente) è un basso più teso, controllato e profondo e una gamma media e alta priva di compressione e durezza, anche a volumi elevati. La musica suona senza sforzo, con una riserva dinamica che sembra illimitata.

Infine, c’è un vantaggio pratico non indifferente: il posizionamento fisico. I due blocchi possono essere collocati strategicamente vicini ai rispettivi diffusori e ciò permette di utilizzare cavi di potenza molto più corti, riducendo la perdita di segnale e migliorando il fattore di smorzamento. In compenso, richiederanno cavi di segnale più lunghi dal preamplificatore.

Il rovescio della medaglia

Naturalmente, non esiste la perfezione. La scelta dei monofonici comporta inevitabilmente anche alcuni svantaggi (o comunque aspetti meno positivi), principalmente legati alla complessità, al costo e allo spazio.

Il più ovvio è il costo. L’acquisto di due prodotti si traduce in un prezzo di listino significativamente superiore rispetto a un singolo finale stereo di pari livello qualitativo. Il raddoppio della spesa si estende anche alla cavetteria, dal momento che servono due cavi di alimentazione e due cavi di segnale che, quando si ha a che fare con monofonici di un certo livello, non sono affatto economici.

Inoltre, il fattore spazio e logistica non è trascurabile. Due blocchi richiedono il doppio dello spazio o, come spesso accade, un posizionamento a terra. Questo non solo aumenta l’ingombro complessivo, ma raddoppia anche il calore dissipato nell’ambiente, un elemento da considerare soprattutto per amplificatori in Classe A.

Bisogna però sfatare il mito secondo cui tutti i monofonici sono blocchi immensi da mezzo quintale. L’evoluzione della Classe D e delle architetture switching ha infatti portato alla nascita di finali monofonici incredibilmente compatti e leggeri (si pensi solo al Fosi Audio V3 Mono), che mantengono un’architettura rigorosamente mono-block pur occupando una frazione dello spazio e dissipando pochissimo calore. Questo amplia notevolmente le possibilità di integrazione in sistemi dove lo spazio è un lusso.

È inoltre importante considerare un’opzione ibrida: la modalità a ponte (bridged mode). Alcuni finali di potenza stereo (come ad esempio il Topping LA90 Discrete che sto testando in questi giorni) sono infatti progettati per funzionare anche come mono-block utilizzando questa modalità. In sostanza, i due canali interni vengono configurati per lavorare insieme, in opposizione di fase, per pilotare un unico diffusore, raddoppiando teoricamente la potenza e la capacità di erogazione di corrente.

Se si opta per un finale stereo con questa funzione, si ha la flessibilità di iniziare con un solo apparecchio in modalità stereo e, in un secondo momento, aggiungerne un secondo, commutando entrambi in modalità a ponte per ottenere un sistema duale monofonico. Questo approccio garantisce la massima separazione dei canali e un notevole aumento di potenza, ma di contro operare in modalità a ponte riduce l’impedenza percepita dall’amplificatore e può stressare maggiormente i circuiti, richiedendo cautela con i diffusori a bassa impedenza. La qualità sonora finale, pur essendo più potente, non eguaglierà sempre la raffinatezza e la stabilità di un finale nato e progettato unicamente come mono-block.

Riguardo poi alla qualità sonora, è fondamentale l’onestà intellettuale: sì, la qualità cambia molto, ma solo a un certo livello. Se il vostro finale stereo attuale è di bassa o media qualità, il passaggio a due monofonici di alta gamma sarà un salto quantico in termini di dinamica, controllo e immagine sonora. Tuttavia, un finale stereo di altissima fascia (penso a brand come Pass Labs, Gryphon o Burmester) può, in alcuni casi, offrire prestazioni di timbro e musicalità così eccellenti da rendere la differenza con i monofonici di pari prezzo meno netta o più sfumata, spostando il dibattito su preferenze soggettive.

I collegamenti sono davvero difficili?

La complessità dei collegamenti è spesso sopravvalutata, ma richiede comunque attenzione e meticolosità. I collegamenti non sono difficili, ma sono semplicemente raddoppiati.

Alcuni finali stereo possono essere “splittati” in due monofonici.
  • Dal preamplificatore ai finali: Dal preamplificatore, si devono portare due cavi di segnale, uno al blocco sinistro e uno al blocco destro. In un sistema di alto livello, l’uso di connessioni bilanciate XLR è quasi obbligatorio. Questo non solo garantisce una migliore reiezione del rumore (cruciale sui cavi più lunghi), ma spesso sfrutta l’architettura interna completamente bilanciata di entrambi i componenti

  • Alimentazione: Servono due prese di corrente dedicate e, idealmente, due cavi di alimentazione di qualità identica. È essenziale che la fase di entrambi i cavi sia corretta e, nel mondo audiofilo, l’uso di un distributore di corrente di alta qualità è fondamentale per non vanificare l’isolamento dei due blocchi

  • Diffusori: Ogni finale ha la sua singola coppia di morsetti che va collegata al rispettivo diffusore. Il consiglio è che i cavi siano della stessa marca, modello e lunghezza.

Il punto critico non è la difficoltà intrinseca, ma la necessità di simmetria e coerenza in tutti i componenti raddoppiati per garantire che i due canali suonino in modo perfettamente identico.

La selezione del monoblocco

Per illustrare questa scelta con prodotti reali, ho selezionato tre modelli di finali monofonici per darvi un’idea di cosa offra il mercato in diverse fasce di prezzo.

L’accesso all’alta fedeltà: Audiolab 8300MB

Se state cercando un modo per sperimentare i benefici della vera architettura monofonica senza dover ipotecare la casa, una coppia di Audiolab 8300MB (circa 1600 euro) è una scelta eccellente. Con i suoi 250 W in Classe AB su 8 Ohm, questo mono-block da poco meno di 10 Kg di peso offre la potenza, il controllo e l’isolamento necessari per pilotare la maggior parte dei diffusori moderni con un’autorità che il finale stereo integrato difficilmente può replicare.

Il design compatto lo rende facilmente gestibile, ma non lasciatevi ingannare dalle dimensioni. L’Audiolab 8300MB si è infatti costruito negli anni la nomea di finale dotato di una dinamica sorprendente e di un’ottima gestione dei transienti e rappresenta la porta d’ingresso ideale per l’audiofilo che desidera un miglioramento percepibile in termini di soundstage e controllo del basso, stabilendo un rapporto qualità/prezzo difficilmente superabile nel mondo dei mono-block.

Il perfetto equilibrio: Rotel Michi M8

finale monofonico

Il finale di potenza monofonico M8 in Classe AB, disponibile online a partire da circa 7500 euro, fornisce 1080 Watt su carico di 8 ohm o 1800 Watt su 4 ohm. Impiega dei doppi trasformatori toroidali sovradimensionati ed accoppiati, sviluppati e costruiti da Rotel, con 2400 Volt/Ampere di corrente in uscita per un’eccezionale energia dei bassi, pur mantenendo controllo e precisione nei minimi dettagli.

Quattro condensatori BHC forniscono 188.000uF di riserva di energetica, subito e sempre disponibile per assicurare un’enorme potenza in uscita, veloce, accurata, anche in condizioni di carico estremo. Gli ingressi XLR e RCA, il telecomando IR, le connessioni Ethernet e RS232 e i terminali per i diffusori placcati in rodio completano le specifiche di alta qualità e rafforzano l’attenzione ai dettagli.

Nonostante la sua potenza, il Michi M8 (che pesa quasi 60 Kg) rimane relativamente efficiente dal punto di vista energetico. Il suo consumo massimo è di 1200W, il che è ragionevole considerando le sue prestazioni, mentre in modalità standby il consumo è ridotto a meno di 0,5W e a meno di 2W in modalità standby di rete, dimostrando l’attenzione all’efficienza energetica anche quando il dispositivo non è in uso attivo.

L’eccellenza senza compromessi: Pass Labs XA100.8

finale monofonico

Qui entriamo nel regno dell’ingegneria di Nelson Pass e della pura Classe A. Gli XA100.8 (circa 34.000 euro la coppia e 45 Kg ciascuno) non sono amplificatori di potenza bruta (sebbene 100 W in Classe A siano un valore molto significativo), ma sono campioni di raffinatezza timbrica. La loro firma sonora è infatti un mix quasi magico di calore, texture sonora e tridimensionalità tipici di un’eccellente valvola, combinati con il controllo e l’autorità di un solid-state.

finale monofonico

La loro ingegneria è focalizzata non sulla massima potenza, ma sulla qualità dell’amplificazione del primo watt, dove risiede la maggior parte del dettaglio musicale. Scegliere questi mono-block, che mi è capitato di ascoltare lo scorso anno a casa di un amico con estrema sosddisfazione, significa dare la priorità al timbro e a un’esperienza di ascolto organica e quasi tattile, dove la musica fluisce con una naturalezza disarmante. È la scelta ideale per l’audiofilo (molto facoltoso) che cerca l’espressione massima della musicalità e del dettaglio.

© 2025, MBEditore – TPFF srl. Riproduzione riservata.

Vuoi saperne di più? Di' la tua!

SCRIVICI



    MBEditore network

    Loading RSS Feed

    Pin It on Pinterest