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Netflix in grosse difficoltà: la crisi del “modello streaming”

netflix febbraio

Netflix presenta il risultato del primo trimestre 2022 con la prima diminuzione di abbonati in dieci anni. Ed il peggio deve ancora arrivare…

Chi segue abitualmente l’andamento dei mercati finanziari – quelli legati all’industria dell’entertainment ovviamente – già aveva subodorato qualche tipo di criticità in corso in quel di Netflix. Le recenti perdite di valore azionario ed i reiterati “missed target” in termini di nuove utenze sono stati i campanelli d’allarme principali. Il “botto” si è tuttavia palesato solo con la presentazione dell’ultimo report finanziario – relativo al primo trimestre del 2022 – in cui, per la prima volta dopo dieci anni, si è osservato un netto calo di abbonati. Pari a circa 200 mila unità in meno.

Netflix

La situazione, se possibile, è ancora più preoccupante. Dal momento che, alla luce di questo fatto,  il management dell’azienda ha già messo ampiamente le mani avanti, prevedendo un’ulteriore perdita sostanziale pari a 2 milioni di utenze in meno entro il prossimo trimestre. In termini pratici, una tragedia. La dettagliata analisi della dirigenza – prontamente inviata via lettera agli azionisti a scopo “tranquillizzativo” (!!!) – sembra individuare i seguenti come motivi per la debacle:

  • L’aumento di costo degli abbonamenti appena introdotto negli USA
  • L’impatto della forte concorrenza delle altre piattaforme di streaming
  • Fattori economici globali ed attuale situazione di incertezza (leggasi sanzioni e guerra in Ucraina)
  • Fenomeno di “condivisione della password”
  • Fenomeni collaterali non legati all’azienda stessa (vendita di smart TV, diffusione della banda larga…)

Netflix down

Le riflessioni di Netflix sembrano ora concentrarsi sulla necessità di “tamponare” la pratica del “password sharing” – fino a pochi giorni fa, curiosamente, uno dei suoi cavalli da battaglia visto l’esasperato marketing dedicato alla possibilità di utilizzare fino a 4 schermi – oltre che di cercare una fonte di entrate aggiuntive. Quest’ultima provvidenzialmente identificata in un “rivoluzionario” piano di abbonamento, proposto ad un prezzo inferiore sebbene farcito di pubblicità. Un’ipotesi – nuovamente – denigrata senza pietà fino ieri, promossa a totale panacea salvifica oggi. Testimoni della validità di tali soluzioni sono gli immancabili commenti social proposti dall’utenza, già “entusiasta” di entrambe le opzioni solo a sentirle nominare, leggere per credere.


Ironia a parte, riteniamo quanto stia sperimentando Netflix oggi vada analizzato in un quadro più generale, dal momento che – se vogliamo – potrebbe costituire il preludio alla crisi  del modello di business per lo streaming odierno. Già in tempi non sospetti avevamo sottolineato i limiti intrinseci del modello in questione, evidenziando come l’appetitoso marketing del “tutto a volontà per soli 5 euro al mese” soffrisse di rischi finanziari non da poco. Si arriva inevitabilmente – infatti – al punto in cui ad un prodotto creato con grosso dispendio di capitale non corrisponda più un adeguato rientro. Anche volendo aggrapparsi – come ha fatto finora Netflix e non solo lui – al lungo termine, visto che l’interrompersi della crescita interrompe parimenti il fluire dell’investimento che dovrebbe assicurarla. E, nel caso, assicurare la copertura dei pregressi.

Netflix down
10 marzo 2017, quando fare password sharing era (ancora) un gesto d’amore

 

La sostenibilità – in pratica i finanziamenti – risultano garantiti fino quando vi sia una crescita continua o comunque attesa. Ovvero fino quando il mercato sia ragionevolmente sicuro che eventuali spese superiori ai ricavi di oggi, possano essere appianate usando gli investimenti di domani. Una volta che il mercato si avvicina alla saturazione – quello che sta sostanzialmente accadendo oggi a Netflix – è fisiologico che la crescita si arresti. E questo, per un’industria che necessita di grossi investimenti onde proporre attrattive sempre nuove, è una grossa limitazione. L’approcciare il problema con i mezzi visti – aumento del prezzo, contenimento dei costi (ovvero bassa qualità del prodotto offerto), inserimento pubblicitario – va oltretutto esattamente contro il modello espansionistico sponsorizzato fino al giorno prima. E che ne ha decretato la buona sorte. Di fatto – e già lo stiamo vedendo – la situazione potrà solo che peggiorare.

Il tutto sta accadendo a Netflix che, fra tutti i provider streaming esistenti, è il più “vecchio” e diffuso. Oltre che l’unico a non poter contare su entrate alternative agli abbonamenti. E’ quindi un precursore, se vogliamo, di quelli che saranno gli esiti del raggiungimento asintotico nel mercato. Piattaforme come Disney+ o Prime Video, per citare i due player più grossi, a differenza di Netflix, possono contare su un’intera filiera dell’entertainment da sfruttare (Walt Disney) e su spalle finanziariamente inespugnabili (Amazon). E sulle quali scaricare molti – ma non tutti, attenzione – degli esosi costi sostenuti per creare “prodotto” sempre nuovo. Cosa che – sebbene riduca – comunque non annulla il gap intrinseco del modello “tutto a volontà”. Alimenta piuttosto una certa inerzia a rendere visibili quanto grosse siano le risorse necessarie a rifornire continuamente di combustibile la piattaforma stessa. Piattaforma che, onde restare appetibile all’utenza, si comporta alla stregua di un pozzo senza fondo.

Netflix Calibrated Mode

E anche qui, quando la penetrazione nel mercato raggiungerà – presto o tardi – la saturazione, i nodi verranno al pettine. Nemmeno il sacrificio, ottenuto a caro prezzo, di film prodotti per il cinema ma mandati in streaming – vedasi gli ultimi tre lavori Pixar – allo scopo di “gonfiare” il numero di abbonati, arrivati in condizione di saturazione avrà più alcun effetto utile.

Ci si ritroverà a fare i conti con una fabbrica costosissima, la quale produce utili molto ridotti. Nemmeno “migliorabili” in previsione futura, dal momento che oramai il mercato è divenuto stazionario. Cosa si vorrà dunque fare? Netflix ci sta già pensando. E dalle prime indicazioni sembra il de profundis per il “tutto a volontà” stia già risuonando. E non solo per quello, molto probabilmente.

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