Same old blues, come direbbe JJ Cale. Eppure, ancora oggi, se si vuole avere un bel sistema hi-fi di livello che sappia dispensare emozioni ed appagamento uditivo (e visivo), la scelta di un finale stereo è sempre consigliabile. Non c’è dubbio: ci sono integrati che hanno tutto il possibile e posseggono amplificatori raffinati e capaci. Ma, spesso, ci rendiamo conto, dalle prove, che i finali di un medesimo brand hanno sempre qualche motivo in più per farsi preferire. Più potenza, più corrente (tema principale), più libertà e soprattutto meno tagli per restare entro il budget prefissato. Ancora una volta, fra i leader di mercato a svettare nella produzione di buoni finali (entry level, qualcuno direbbe, ma potrebbero anche essere definitivi) abbiamo la costante (un po’ di maniera, oramai) di due realtà speculari. Il giapponesissimo e preciso Rotel ed il tracotante francese Advance Paris. Abbiamo provato due modelli rappresentativi e ve li raccontiamo.
Un cliente Ferrari? Un cliente Porsche? Ci perdonerete la retorica automobilistica, ma, effettivamente, nel loro piccolo, la dialettica fra Rotel e Advance Paris, negli ultimi anni, è stata pressappoco questa. I due brand, infatti, (e la cosa è stata un po’ amplificata e polarizzata anche per colpa di noi addetti…) catturano, in maniera manieristica, due scuole soniche radicalmente opposte. I prodotti dei due brand, infatti, potrebbero non essere ascrivibili al genere piacciono a tutti oppure all’essere versatili. All’opposto, infatti, i due brand (e in particolare i finali stereo, gli elementi più carismatici della produzione, a nostro avviso) o si sposano totalmente o non si apprezzeranno particolarmente.
Vediamo perché
L’uno, il giapponese, è un certosino dedito ad una riproduzione precisa e puntualissima. È, potremmo dire, un amplificatore che non suona, ma amplifica (perdonateci la perifrasi). L’altro, ispirandosi ad una gloriosa scuola USA, propone un suono tuto tarato verso l’emozione, l’impatto, il calore, la potenza del palco.
Abbiamo scelto due macchine, quelle che ci hanno ispirato in questi anni di più: il Rotel RB 1590 e l’Advance XA160 evo
Partiamo dal finale Rotel: RB 1590. Con più di 38 kg di peso e 237 mm di altezza, la prima emozione si ha notando la possanza di questa macchina. Un finale, inoltre, costruito con immensa cura. Non dissimile da altri prodotti giapponesi di livello esoterico hi-end costruiti in patria. Il case in metallo, il possente frontale di stampo professionale con due serie di feritoie che percorrono la superficie e l’assemblaggio rigorosissimo testimoniano che nulla è lasciato al caso.
Di certo si tratta di una macchina altera. Come è fuori, anche l’interno si compone di materiali pregiati e costruzione serissima. Due trasformatori toroidali, ormai utilizzati diffusamente poiché particolarmente adatti nel campo audio (qui, però, sono veramente consistenti), 8 condensatori HBC (UK) e design dual mono. In sostanza, l’ampli si comporta come se vi fossero due monoblocchi.
Il tutto si traduce in un suono che è molto simile a come appare il finale stesso.
Il Rotel, infatti, esibisce, come si diceva nell’introduzione (e come è noto a tutti gli appassionati di questa marca) un suono perfettamente assimilabile all’estetica del prodotto.
Nonostante un preampli Belcanto (che è estremamente raffinato quanto vellutato) e gli abitualmente utilizzati diffusori Klipsch e Cerwin Vega, il segnale che raggiunge le orecchie stupisce per regolarità e neutralità. Indipendentemente dalle tracce utilizzate per l’ascolto (soprattutto rock e blues angloamericano, di norma su CD 24bit, SHM o SACD), la musica pare misurata, corretta. Di certo, la resa sugli alti è assai gradevole, tendente al brillante, priva di patine, insomma ben spolverata. I medi, però, sono quelli che stupiscono di più. Belli, limpidi, corposi.
I bassi, beh, non devono essere ricercati in quantità! Il Rotel, infatti, cerca di ottenere il suono più intellegibile possibile, ma la schiena dei bassi è sicuramente flebile (anche se nettamente più convincente rispetto ai finali più piccoli del brand). Insomma, chi ricerca il suono d’impatto e il palcoscenico vibrante vada altrove.
Advance XA160EVO: per chi sogna i grandi finali americani
Mark Levinson, o magari Krell. Oppure McIntosh. La scuola dei grandi amplificatori finali americani ci propone, e ci ha proposto nella storia, modelli leggendari. Ancor più, però, tutt’ora ci offre un modello sonico che, piaccia o meno (questo è del tutto ininfluente) è uno standard di riferimento e un paradigma rispetto al significato del suono americano.
Non tutti, però, possono mettere le mani su simili macchine. E, soprattutto, non per forza è necessario tendere a questi mostri sacri. Anche nella produzione più massificata e democratica si può apprezzare un suono con, almeno in parte, questa filosofia e con caratteristiche tutto sommato similari.
L’Advance, su tutti, è forse proprio il brand che rappresenta al meglio questa tensione, in potenza, verso il suono americano e, fra i vari modelli, continuiamo a preferire lo stereofonico Xa160EVO che, fra tutti, risulta il migliore come rapporto prezzo-contenuti.
Questo XA160 risulta una macchina soddisfacente, di sostanza. Notato il suo prezzo di listino (1900 Euro), comunque sottoposto a vivaci scontistiche, è possibile oggettivamente affermare come si tratti di uno dei prodotti più attraenti sul mercato. Caratterizzato da un trasformatore toroidale significativo, 160W e il commutatore per la polarizzazione high bias (che simula una classe A – opzione che comunque consigliamo sempre in utilizzo hi-fi), le prestazioni paiono buone, più o meno con ogni genere musicale.
Se, in casa Advance, è possibile avere qualche riserva sui preampli (che non sono sempre, a nostro avviso, stati al pari dei loro ottimi finali), all’opposto gli amplificatori veri e propri sono veramente superlativi per la loro gamma di prezzo. Soprattutto questo modello, sicuramente più vantaggioso del pur valevole XA220 mono.
A chi deve piacere, quindi?
All’utente che apprezza un bell’effetto live. All’appassionato che vuole rivivere un certo modo di suonare che era un poco scomparso, fino a qualche anno fa, nel panorama europeo. Caloroso, vivo, verace, con un basso bello pieno e sicuramente ben evidente. Non si pretendano gli alti vivissimi e così aperti del Rotel, ma la loro resa è comunque ottima, assai migliore che in passato (serie MAX) con una finezza nei medio-alti ravvisabile. Il medio, poi, convince a patto di non chiedere eccessiva apertura.
Due suoni opposti, dunque, ma ugualmente validi a seconda dei gusti. Un punto in più, magari, per il Rotel come raffinatezza e precisione nell’assemblaggio e nella costruzione rigorosissima da vero giapponese.