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Ermanno Olmi: la poetica di un cuore contadino

La scomparsa di Ermanno Olmi, avvenuta il 5 maggio scorso all’età di 86 anni, ha lasciato orfani coloro che del Cinema hanno un’idea romantica, legata alla profondità dei valori umani espressi: un riferimento per tutta la cultura italiana.

Ermanno Olmi

Il legame che Olmi ha allacciato con il passato della nostra storia letteraria e culturale, quando ha raccontato di un’Italia rurale (L’Albero degli Zoccoli) e provinciale (Il Posto, Il tempo si è fermato, I fidanzati), prima che rimandarci alla stagione seminale del Neorealismo, ci induce a collocarlo nella scia del movimento verista di fine Ottocento; eppure Olmi è stato sostanzialmente ‘trascurato’ dalla critica militante romanocentrica, prevalentemente di sinistra, nonostante egli fosse, a modo suo, anarchico e provocatore, imprevedibile e visionario, pagando il fatto d’essersi tenuto distante dagli ambienti che contano. Non sempre Olmi – che merita per intero l’appellativo di ‘Maestro’ – viene citato tra i grandissimi del cinema italiano e i suoi film sono stati talvolta trattati con troppa sufficienza.

Non era un borghese, come la gran parte dei cineasti italiani, e proveniva da una famiglia contadina. Con piglio dolente cantore dei semplici e degli umili, acuto (e mai banale) osservatore delle piccole cose, il regista ha sviluppato, almeno nella prima parte della sua carriera, quella che ne ha sancito le straordinarie qualità narrative, una poetica volta alla rappresentazione del quotidiano, nel tentativo di ricomporre una sempre più complicata armonia tra l’Uomo e la Natura.

Ermanno Olmi
L’albero degli zoccoli (1978)

Uomo schivo e riservato, un intellettuale con grande padronanza del mezzo cinematografico, il regista bergamasco si definiva un ‘aspirante cristiano’ pur trattando il tema del cristianesimo secondo canoni per nulla convenzionali; «il mio cinema – diceva – corrisponde al mio modo di guardare alla vita».


Sguardo neorealistico, il suo, testimoniato in fieri anche dalla corposa produzione di corti e mediometraggi industriali (tra i più noti La diga sul ghiacciaio, Tre fili fino a Milano, Un metro è lungo cinque) agli inizi degli anni Cinquanta, quando si prese cura del settore cinematografico della EdisonVolta presso cui era impiegato, che di ‘industriale’ avevano ben poco, ricchi come erano di sagacia ed umanità. Con uno stile sobrio e concreto, l’esperienza aziendale intendeva testimoniare l’attività della società elettrica, puntava a evidenziare l’operosità della gente che vi lavorava. La EdisonVolta era una società milanese tra i simboli di una modernizzazione del Paese che andava risollevandosi dalle rovine della guerra.

Ermanno Olmi
La Leggenda del Santo Bevitore (1988)

Un ‘grande incantatore’, come lo definì una sua creatura, Roberta Torre, uscita dalla scuola di cinema (Ipotesi Cinema, creata da Olmi a Bassano del Grappa nel 1982), e un ‘uomo onesto’; e non si tratta in questo caso di una frase di circostanza buttata lì a casaccio, ma una precisa identità caratteriale dell’uomo Olmi che – di certo – non ha mai cavalcato le mode alla ricerca di un facile consenso. Ma è stato anche e soprattutto uno sperimentatore, un indiscusso innovatore del linguaggio filmico; più che la tecnica contava il senso che voleva dare al suo cinema, alle inquadrature dei suoi film.

Ermanno Olmi
Il mestiere delle armi (2001)

Potremmo affermare che Olmi ha reinventato i concetti di Tempo e di Spazio, descriveva in modo chiaro ed esemplare la sua concezione del ‘fare cinema’ legata alla struttura narrativa dei suoi film e al trascorrere temporale degli accadimenti che nella quotidianità ci pressano da vicino:

«L’idea delle tre dimensioni del tempo me la sono portata dentro da sempre, fin da quando facevo teatro da ragazzo. Proprio perché l’uomo è un’entità consapevole, questa sua consapevolezza è dovuta al fatto che non vive l’attimo presente solo per quello che l’attimo presente porta nell’apparente e nel contingente. Ma noi, ogni uomo, è nell’attimo presente tutto ciò che è stato e tutto ciò che sarà. Quindi ognuno di noi si porta dentro tutto il patrimonio della propria storia e tutte le tensioni del futuro verso il quale è proteso. Allora è evidente che quando io per esempio vivo un’azione, la vivo portando in questa azione tutto ciò che ho dentro, di esperienza, di ricchezza spirituale, morale, scientifica, pratica, e tutto ciò che penso, che immagino rispetto all’avvenimento che sto vivendo. Guai se l’uomo non fosse così!

Quando un uomo invece si riduce a vivere solo il proprio presente, opacizzando il proprio passato e il proprio futuro, siamo dinanzi ad una sorta di suicidio, è una specie di mortificazione che corrisponde alla morte. Quindi le tre dimensioni del tempo, del tempo in senso assoluto non in senso cronologico, sono l’essenza stessa dell’entità umana, dell’entità pensante. […] per cui se noi riducessimo tutto al tempo cronologico, al tempo (cosiddetto) svizzero, è come se riducessimo tutta l’esistenza ad una contabilizzazione numerica». [da un’intervista rilasciata il 29 giugno 1983]

E a proposito di quella fondamentale elegia contadina che è L’albero degli zoccoli, il suo capolavoro che vinse la Palma d’Oro al Festival di Cannes 1978, venne accolto entusiasticamente e lo fece conoscere nei circuiti internazionali del cinema di qualità, diceva: «Gli interpreti dei miei film portano non solo una fisionomia esteriore che corrisponde a quella categoria umana, ma la fisionomia esteriore è sempre il risultato di una fisionomia interiore. […] Per me il volto di un uomo è non solo la sintesi dell’uomo responsabile di quel volto, ma è la sintesi della storia universale. L’uomo è la somma e il risultato ultimo di tutto un grande processo che si è evoluto nella direzione dell’uomo».

E quanto importanti fossero pure e soprattutto i ‘silenzi’ nel suo cinema. L’albero degli zoccoli (lungo quasi tre ore, sottotitoli per un film parlato in dialetto bergamasco e recitato da attori non professionisti), con grande semplicità racconta della vita contadina nelle campagne bergamasche di fine Ottocento, e si illumina di quei valori semplici della realtà della vita rurale, tra stenti e piccole gioie. E nella poesia dei gesti quotidiani il regista sottende il rimpianto per un mondo inequivocabilmente in via di estinzione.

Ermanno Olmi

Ma ogni altra opera di Olmi – in una filmografia peraltro non prolifica (se non in fatto di documentari) – costituisce un piccolo toccante gioiello di umanità e di perizia cinematografica. L’esordio cinematografico avveniva nel 1958 con Il tempo si è fermato, originariamente concepito per essere un documentario poi trasformatosi in un lungometraggio.

Al Festival di Venezia Olmi portava nel 1961 Il posto (incluso nella lista dei 100 Film Italiani da Salvare), storia minimale di due giovani al loro primo impiego in un’azienda milanese ai tempi del cosiddetto Boom economico, seguito due anni dopo da I fidanzati, presentato in concorso al Festival di Cannes, nel quale iniziava ad emergere la crisi dei sentimenti che avrebbe caratterizzato certo cinema nostrano.

E venne un uomo (1965), è una biografia di papa Giovanni XXIII cui seguirono Un certo giorno (1969), Durante l’estate (1971), La circostanza (1974) prima del già citato capolavoro L’albero degli zoccoli.

Ermanno Olmi

Nella seconda fase della sua carriera Olmi, nonostante una grave malattia (la sindrome di Guillain-Barré) che lo ha invalidato, spinto alla depressione e tenuto lontano per cinque anni dal set, ha coniugato nuovi temi e percorso nuove strade espressive e dato uno straordinario impulso creativo ed originale alla sua arte, occupandosi di allegorie (Camminacammina, 1982, sul mito dei Re Magi, La leggenda del santo bevitore, Leone d’Oro a Venezia 1988, tratto dal romanzo di Joseph Roth), di narrazione storica (Il mestiere delle armi, Cantando dietro i paraventi), di contesti fiabeschi pur sempre legati alle tradizioni della sua terra (Il segreto del bosco vecchio, con Paolo Villaggio, dal romanzo di Dino Buzzati) e pur sempre incentrati sul rapporto uomo-natura (Lunga vita alla signora!, Leone d’Argento a Venezia 1987).

Lo straordinario Il mestiere delle armi, sugli ultimi giorni della vita di Giovanni dalle Bande Nere, arrivava all’alba del nuovo millennio dopo un silenzio durato 8 anni, quindi Cantando dietro i paraventi del 2003, film (interpretata da Bud Spencer) che esorta a deporre le armi e riesce a riempire il cuore e gli occhi con la grazia dei toni fiabeschi adottati da Olmi per narrare il mondo della pirateria cinese del 18° secolo, ricostruendo la ‘sua’ Cina nel mare adiacente il vicino Montenegro e riuscendo comunque a rendere spettacolare il risultato del suo sforzo artistico. Si narra la favola di una enigmatica donna che raccoglie le armi del marito defunto e si pone al comando della sua flotta di pirati in una sfida impari con l’imperatore; quando tutto sembra volgere al peggio si realizza quello che nessun action-movie o film di guerra potrebbe mai sognare di fare… Il titolo trova la sua ragione d’essere nella tradizione cinese, ovvero: quando le donne cantano, significa che esse vivono serenamente e la serenità è sinonimo di pace.

Ermanno Olmi
Torneranno i prati (2014)

Capitoli a sé sono Genesi: La creazione e il diluvio (1994), uno degli anelli dell’ambizioso progetto televisivo Le storie della Bibbia, e Tickets (2004), il film in 3 episodi condiviso con Abbas Kiarostami e Ken Loach, ed ha quale tema conduttore un viaggio in treno.

Ancora importanti sono i film con i quali, al culmine del suo cammino poetico, si è congedato dal pubblico e che costituiscono piccoli e intimi gioielli: Centochiodi (2007), parabola cristologica, Il villaggio di cartone (2011), sulla questione dell’immigrazione, fino a Torneranno i prati (2014), l’accorato pamphlet contro la guerra ambientato nelle trincee dell’altopiano di Asiago durante la prima guerra mondiale.

Nel 2008 Ermanno Olmi ha ricevuto il Leone d’Oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia.

Ermanno Olmi

«Non solo dimentico abbastanza facilmente i miei film, ma butto via tutto; io non conservo una riga, non conservo i copioni, non conservo i giornali. Niente. Per me ogni mattina deve essere una giornata completamente nuova. Non ho legami con le cose fatte».

LE RECENSIONI:

Il mestiere delle armi [DVD]

La leggenda del santo bevitore [DVD]

Cantando dietro i Paraventi [DVD]

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