Heartland Rock: un genere, tante storie. Di cosa si tratta, esattamente, quando si parla di questo stilema musicale americano? Non tanto di particolari sonorità, bensì della volontà di portare in superficie le storie e le difficoltà del ceto medio americano, spesso fuori dall’attenzione degli artisti.
È da riconoscere, però, come l’Heartland Rock, nonostante sia stato capace di un successo senza precedenti durante gli anni Ottanta e Novanta, non goda oggi di grande attenzione. Nell’indifferenza generale, i temi di questo stile sono oppressi dalle moderne esigenze testuali, appiattiti da songwriting più adatti a raccontare più contingenti criticità. Pare che oggi il ceto medio non sia più al centro dei pensieri degli artisti, e, di conseguenza, anche certe tematiche paiono anestetizzate, stiracchiate alla cultura dell’evasione che ci caratterizza.
È vero: gli ultimi due dischi di Bruce Springsteen (Western Stars 2019, Letter to you 2020) hanno goduto di un grandissimo successo. Ma questo non è bastato per risollevare il fenomeno dell’Heartland.
Questi, alla lunga, non trova infatti applicabilità a fianco del massimalismo urlato imposto dai media d’oggi.
5 album di riferimento a cavallo fra quattro decadi
L’assenza dei temi Heartland nell’oggi non pregiudica, in ogni caso, i grandi esempi di questo stile. Anzi, le qualità immersive e introspettive di questa musica lasciano ancora il segno ed impongono una riscoperta di certi temi. Si necessita la comprensione delle storie mai sopite, delle realtà incandescenti nascoste e sublimate da questa musica. Vediamone qualche esempio rivelatore:
Wildflowers, Tom Petty
Tom Petty è stato uno dei più talentuosi autori che l’America abbia avuto, e questi spaziò abilmente, senza mai stigmatizzarsi in un genere, dal Southern all’AOR. Petty fu, però, anche uno dei principali maestri dell’Hearland. Questo disco, il suo secondo da solista, è da considerarsi fra i suoi capolavori. Un cantautorato potente e profondo, afflitto, ma lieve. Pare quasi che la vena più polemica di Petty sia stata addolcita da un ritorno alla purezza, alla semplicità, ai valori originali.
Stranger in Town, Bob Seger
Forse fu proprio Seger il grande iniziatore dell’Heartland Rock. Le sue canzoni, sempre ricche di riferimenti alla politica, al lavoro, all’impostura delle luci della ribalta prefigurarono la via agli altri. Questo disco del’78 è famoso, in particolare, per il classico Hollywood Nights, una critica celebrazione dello scintillio di L.A. Un Heartland energetico, quello di Seger, la cui sferzante invettiva è calata in un mondo di apparenza.
Nebraska, Bruce Springsteen
Non un album facile, o versatile, questo. Si dice che Springsteen compose Nebraska in un periodo di disillusione, forse di depressione. Le tracce mantengono viva la poetica delle produzioni precedenti, ma è la vitalità a scolorire. Un’opera buia, lenta, quasi afona, ma ponderata e potente nell’esprimere un mondo a brandelli.
Bad to the Bone, George Thorogood
La presenza di un boogie rocker come Thorogood in questa classifica può lasciare perplessi. L’autore di Bad to the Bone non risponde ai requisiti blues e folk dell’Heartland Rock, ma vi giunge in modo contingente. Questo disco, che segnò la sua consacrazione, apparve nel 1982 e si mostrò come la risposta hard-driving, forse grezza, di un vorace blues d’epoca Heartland.
Mudcrutch
Un autentico capolavoro. I Mudcrutch, storica band di Petty e del chitarrista degli Heartbrakers, Campbell sfornarono, nel 2008, questo stupefacente mix di Southern, Heartland e Country. Ballate poetiche, condite da una musicalità rara per valore e ricercatezza. Dolci armoniche chitarre, supportate dalla carnosa voce di Petty e dal piano di Tench, animano atmosfere bucoliche, nel vivo della cultura e della storia americane.
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