Sembrerà di fare retorica. Bisognerebbe limitarsi ad affermare che i tempi inesorabilmente cambiano e siamo noi gli antichi, noi che non accettiamo il cambiamento. Noi reazionari intrappolati nelle rigide torri di cristallo conficcate in quelle remote terre della Musica ormai defraudate. Eppure, ad avviso di molti di questi incontentabili musicofili, e audiofili ancor più spesso, sarebbe proprio opportuno essere un poco meno ipocriti ed un poco più onesti amatori di quella che denominiamo genericamente, con troppa disinvoltura, musica. La verità è ben più truce e meno soggetta a astrusi parallelismi poetici: che la musica oggi è sordido business unicamente veicolato dal più modaiolo e meteoritico capriccio, in attesa di scomparire di fronte ad un altro. Sempre più giù, sempre più in basso. Spelacchiati leoni: sarà qualche nome storico irrimediabilmente obbligato ad uniformarsi alla dittatura di pensiero, prima che musicale, che divampa omologata oggi.
Leoni… forse, saremo noi, ormai neanche disillusi, ma pronti ad accontentarci del poco, magari di quel motivetto scimmiottato alla chitarra elettrica da qualche nuovo pseudorocker. False promesse, perché sono convinto che quello che passa oggi il convento, ci perdonino l’analogia, non sia proprio attinente alla concezione che noi stessi costruiamo attorno alla musica quando si ascolta qualcosa di, sdoganiamo subito l’attributo, qualitativo.
Quel genio di Tom Petty, nel lontano album The Last Dj, correva l’anno 2002, nella canzone eponima pontificava come la musica di oggi (aspetta…era il 2002, ma forse le cose non hanno visto un decorso migliorativo) fosse totalmente avulsa dalla ricerca artistica, in senso più o meno lato. All’opposto, secondo Tom l’industria e, di conseguenza, i suoi replicanti, i suoi prodotti che ne rappresentavano squisitamente l’intenzione ed il carattere, erano spasmodicamente votati alla superficialità tematica ed alla banalità musicale più assolute, che nascondevano malcelata avidità.
Non facciamo i moralisti. Avrebbe poco senso. Anzi, sarebbe ridicolo. Dove sarebbe l’economia occidentale senza il business? Ma il punto è un altro. Dove si è disposti ad arrivare pur di monetizzare l’arte? Fino a che punto possiamo sopportare elementi musicali e temi narrati al limite dell’indecenza, della banalità più sciatta e della volgarità più esecrabile? Fino a che punto potremo porre al di sotto delle, fin troppo ampie ali di una smemorata filantropica arte, prodotti musicali e testuali che cantano, con spavalda autocelebrazione, con criminale vanteria, la parte più schifosa della contraddittoria e ambigua società in cui vivacchiamo?
La decenza ormai è in paradossale opposizione alla pletora che ci capita di ascoltare. O se vogliamo essere filosofi, alcune leggi naturali e civiche come l’etica o, perlomeno, l’amore per ciò che ci porta a definire un guazzabuglio di note, musica, dovrebbero essere ascoltate un poco. Sempre se tali fatture sono frutto di un intelletto umano e non lo scarno risultato di qualche impiastro vomitato da qualche psico-software artificiale.
È stato già detto, e ripetersi è fastidioso, soprattutto quando si rasenta la banalità. Ma è possibile che, in una società invasata, convinta che la via migliore sia la più facile, si spari a zero su tradizione e passato e poi si consenta, in un clima di accettazione e evidenza naturali, che circolino fra giovani musiche e temi che, a dire scandalosi e ributtanti, si è gentili? Il contraltare è ancora più interessante: acriticamente si vuole poi aborrire la stessa cultura di una Nazione, conferendo colpe generali come il peccato a tutti e tutto perché un bastardo qualsiasi, nel 2023, si macchia di femminicidio?
Ma non saranno, forse, le porcherie che, con troppa spontaneità, definiamo arte e musica e che legittimiamo come manifestazione della sensibilità musicale di oggi, motivo di espressione dei giovani? Abbiamo preteso di dipingere come musica abietta roba che parla di ammazzare p…e scop…ne altre? Anche questo è un prodotto della cultura patriarcale di cui sopra?
Teniamoci dunque, se la pensiamo e se la pensate così la nostra cultura e la nostra musica, ma soprattutto questa società. Con le sue schifezze e i suoi cancri. È il marcio che non abbiamo legittimato. È quello che ci meritiamo.
Meno ipocrisia, signori, e soprattutto W la musica che è bella nel suono e dice cose che facciano pensare. È quello che a molti manca.
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