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Vino e Musica – Yellow Jackets – XL & il Berlucchi ’61

Yellow Jackets

Gruppo assai noto in ambito jazz/fusion – nasce nel 1977 come supporto nei tour di Robben Ford, pregevole e dotato chitarrista – successivamente affrancatosi e divenuto autonomo, è stato in grado di rimanere stabilmente sulla cresta dell’onda a discapito del lungo tempo trascorso, circostanza che come ben sapete, rappresenta la chiara dimostrazione della validità della proposta artistica.

YELLOW JACKETS “XL” – IL DISCO: ed eccoli di nuovo qui i nostri eroi, artefici di un sound robusto e pieno, influenzato da un ottimo mix di jazz, blues e fusion, artefice di brani la cui ritmica assume connotati ampiamente variegati e talvolta asimmetrici – senza però divenire sghembi ed imbevuti di quell’avanguardia sonora spesso ridondante.

Questa volta hanno deciso di (re)immettere sul mercato un nuovo lavoro caratterizzato da composizioni del passato; definirle vecchie non mi piace, anche perché non lo sono affatto, tranne che non ci si riferisca al mero lasso temporale.


Ed è partendo da Politics (RCA – 1988) fino agli ultimi lavori che è stata fatta la scelta dei brani da inserire nel presente disco – nella fattispecie Downtown – un pezzo che davvero non sembra essere stato edito ben 33 anni fa.

A seguire, la selezione spazia fino ai giorni nostri attingendo dalla vasta produzione effettuata nel corso degli anni, fino ad arrivare a Cohearence (Mack Avenue – 2016) – un neologismo creato a partire dal termine coherence (coerenza, che nel loro caso appare assolutamente veritiera vista l’aderenza allo specifico stile espresso dal gruppo), nel quale è stata innestata una “a” che con un intelligente gioco di parole lo ha trasformato rendendolo traducibile in qualcosa molto vicino all’empatia, quel “comune sentire” che molti hanno la fortuna di possedere.

La sonorità degli Yellow Jackets – pur in perfetta aderenza alla cifra stilistica – si è in ogni caso evoluta nel tempo, e se resta riconoscibile senza alcun problema il suono del synth di Russel Ferrante, il connotato jazzistico della proposta è ampiamente cresciuto e maturato nel tempo.

Negli anni ’90, infatti, al sassofonista dell’epoca – l’ottimo Marc Russo, eccellente ma forse troppo attaccato ad un suono di tipo pop, sulla falsa riga di Kenny G per intenderci – seguì l’attuale Bob Mintzer, la cui indubbia propensione verso ambiti di stampo maggiormente classico (sempre con riferimento al jazz) è perfettamente individuabile.

Non per nulla, anche grazie alle esperienze avute nel passato con compagini del genere, nel presente lavoro funge altresì da conduttore della notevole big band coinvolta nell’operazione.

E che big band, ovvero la WDR – vale a dire la Jazz Orchestra del WDR (Westdeutscher Rundfunk), in altre parole la radio pubblica tedesca – che messa al servizio delle composizioni dei nostri trova modo di irrobustirne il risultato sonoro.

YELLOW JACKETS “XL” – QUALITÀ SONORA: e perché non si dica che prendiamo in considerazione solo opere del passato – più o meno recente – il lavoro di cui ci occupiamo in questa puntata è del 2020, recentissimo quindi, e come già scritto prende in considerazione un nuovo e diverso arrangiamento di pezzi già editi.

La formazione attuale è composta da Bob Mintzer ai fiati ed all’EWI (acronimo di Electronic Wind Instrument), Russel Ferrante alle varie tastiere (acustiche e non), il nuovo bassista di origine australiana Dane Alderson (con loro dal 2015 dopo l’abbandono dello storico e dotatissimo Jimmy Haslip per motivazioni personali) e l’eccellente batterista/percussionista William Kennedy, i tre quarti del nucleo fisso che da anni compone la band.

Yellow Jackets

La tecnica non manca di certo, così come talento compositivo e cifra stilistica personale, qualcosa che i membri della band condividono a piene mani, complice un interplay fenomenale.

Tutte le composizioni scelte godono di un nuovo arrangiamento la cui armonizzazione è in grado di rendere a meraviglia e rispettosamente l’originale a suo tempo suonato dal quartetto, nessuna ridondanza o eccesso di manierismo caratterizza i pezzi, anzi, perfetto appare il contesto dove poter fare ampio sfoggio di virtuosismo strumentale.

Il caratteristico “suono” del sintetizzatore di Ferrante – che per coloro che conoscono questo inossidabile gruppo è un vero e proprio marchio di fabbrica – appare assolutamente contestualizzato al momento attuale, circostanza che indica come una scelta fatta con criterio, ovvero evitando sonorità artificiose ed innaturali, ripaghi con il suo essere ancora perfettamente sfruttabile malgrado il trascorrere degli anni; altrettanto eccellentemente riprodotto il pianoforte, spesso utilizzato nelle artistiche e fantasiose fughe del nostro.

La ritmica – e che ritmica! – ha corpo e spessore inusitati, sempre pronta a seguire le funamboliche volate di sassofono, pianoforte e tastiere, col suo stabile puntello sorregge a meraviglia tutte le composizioni. Ad un Kennedy straordinariamente percussivo fa eco un mai ridondante Alderson, musicista di elevata caratura che non fa assolutamente rimpiangere Haslip, pur dotatissimo ma ormai interessato ad altro; basse frequenze alquanto robuste ne rappresentano l’incessante supporto ritmico.

Dicevo di Mintzer e del suo innato connotato jazzistico, ampiamente trasfuso nel suono e nelle composizioni della band. A parte il bel suono del suo strumento, carnoso e pieno, è l’uso moderato dell’EWI a caratterizzarne la proposta, un dispositivo che opera via midi ed è in grado di utilizzare suoni sia sintetici che campionati. Mintzer lo usa da tempo ma con assoluta perizia, ovvero senza tirar fuori sonorità sintetiche sgradevoli ed inutilmente decontestualizzate, anzi, insieme ad una altro nobile esponente purtroppo scomparso nel 2007 – il compianto Michael Brecker – potremmo dire che è stato uno dei pochi a farne un uso morigerato, proprio questo aspetto lo rende piacevole.

In ultimo, la WDR Big Band appare in smagliante forma e contribuisce in concreto alla piacevolezza del progetto, mai sopra le righe o troppo invadente, esercita il suo influsso mediante vere e proprie emozionanti bordate sonore.

Chiosa finale: guardatevi questo bel video relativo a Downtown ed osservate bene la disposizione dei musicisti. Fatto questo, fate mente locale sulle tante cose che sapete – o credete di conoscere – relative all’individuazione degli strumenti sul palco e tutto ciò che credete sia opportuno in questo contesto: come pensate sia stata effettuata la presa del suono? Soprattutto quale, secondo voi, è (o sarebbe) una credibile posizione da assegnare ad un ipotetico ascoltatore in un tale contesto? Io un’idea ce l’ho, ma attendiamo le vostre mail….

YELLOW JACKETS “XL” – QUALE EDIZIONE SCEGLIERE: edito su etichetta Mack Avenue, la presente opera è al momento reperibile esclusivamente su CD. Data l’eccellente registrazione, chi dispone di diffusori in grado di scendere bene in frequenza – ed un’amplificazione in grado di sollecitarli in modo opportuno – avrà pane per i propri denti, sarà quindi perfettamente in grado di percepire il notevole impatto di un simile ensemble in tutto il suo splendore sonoro.

Come al solito, buon ascolto!

Il vino suggerito da Doctorwine.it

Il suono dei Yellow Jackets riesce e mettere insieme l’eleganza e la tecnica dell’esecuzione con la vivacità e la piacevolezza dei brani. Tecnica e piacevolezza tradotti in termini “vinosi” significano bollicine, e l’eleganza vuole che siano bollicine di grande valore organolettico. Se c’è una cantina italiana che negli ultimi anni ha nettamente migliorato il livello della sua produzione complessiva questa è la Berlucchi di Corte Franca, in Franciacorta di proprietà della famiglia Ziliani. Una delle etichette migliori, il Franciacorta ’61 Blanc de Blancs Nature 2014 è proprio il vino che berrei ascoltando gli Yellow Jackets.

Si chiama Franciacorta ’61 perché fu proprio nel 1961 che uscì la prima annata di un Franciacorta e fu prodotta proprio da questa cantina. Blanc de Blancs perché è fatto solo con uve Chardonnay, bianche, appunto. Nature perché non ha praticamente aggiunta di “liqueur d’éxpedition” ed è molto secco. Una parte del vino base viene fatto maturare in piccoli fusti di rovere francese. Il processo di spumantizzazione dura poi in bottiglia per cinque anni. Il risultato è un Franciacorta agile, piacevolissimo, elegante e frutto di una tecnica enologica di prim’ordine. Le bollicine si inseguono nel bicchiere come le note veloci dei Yellow Jackets, la freschezza vivace del sapore accompagna l’ascolto in modo non invasivo e lo rende, se possibile, ancor più coinvolgente. Troverete in enoteca questo Franciacorta a circa 45 euro la bottiglia.

Diana Krall
La guida >Essenziale ai vini d’Italia 2022

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