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Mediaworld perde 17 milioni di € che ripianerà con i sex toys

Mediaworld vecchia sede curno apre

Mediaworld per sanare le perdite vara un nuovo piano “lacrime e sangue” che prevede l’abbandono della storica sede di Curno e la chiusura di alcuni negozi. Dura la reazione dei lavoratori con cui è in atto un vero braccio di ferro. Unica novità sul fronte dei prodotti una linea di sex toys da vendere online.

Tempi duri per Mediaworld, visto che il 2017 si è chiuso con un rosso di 17 milioni di euro. E l’unica strategia di vendita messa in campo dal management della catena passa ancora una volta per i prodotti. Penserete a smartphone, piccoli elettrodomestici, televisori Ultra HD? Nemmeno per idea, tanto più che quel tipo di tecnologia ha perso strada e redditività secondo il punto di vista di una direzione generale che, per far quadrare i conti, non sa che pesci pigliare. La soluzione trovata dal managmet del gruppo Mediamarket è vendere sex toys. Sì, avete capito bene, stiamo parlando di vibratori e ammennicoli vari, l’unico settore che dalla notte dei tempi non ha mai smesso di “tirare”. Ma solo nello store online, ci dice sottovoce un funzionario Mediaworld, per non spaventare il loro pubblico con un orientamento tendenzialmente puritano.

Mediaworld pagina sex toysSulla home page del sito di Mediaworld è stata creata una sezione dedicata ai sex toys, 65 modelli in tutto, disponibili nelle varianti classico, design e mini. Certo, l’assortimento non è ancora da paragonare ad un negozio specializzato, ma l’obiettivo è chiaro: acquisire con nuovi introiti un fatturato per il momento inesistente per le GDO.

Punto di riferimento?

Sono lontani anni luce i tempi in cui la catena tedesca rappresentava per tutti gli appassionati di tecnologia e per le aziende produttrici di hi-tech il punto di riferimento. In Italia, molti consumatori, oltre che dalla lettura delle riviste specializzate, “navigando” e curiosando tra la merce esposta e confrontandosi con il personale, ai tempi molto qualificato, hanno avuto modo di acculturarsi in fatto di nuove tecnologie.


Anche quando sono comparsi sulla scena i numerosi e sempre più agguerriti concorrenti, Mediaworld ha saputo mantenere una leadership riconosciuta dal mercato,  per la sua capacità di entrare in sintonia con i desideri dei consumatori, così facendo riusciva a mantenere un’ottima redditività. Molti sostengono che gran parte dei successi della catena in oltre 20 anni di storia sia da attribuire esclusivamente a Pierluigi Bernasconi, fondatore di Mediamarket nella quale ha ricoperto il ruolo di amministratore delegato fino al 2013, anno in cui ha preferito cambiare casacca, prima con quella del Mercatone Uno e poi, dal 2017, con quella di Mondadori Retail. Da quando Bernasconi ha lasciato l’azienda, Mediaworld si è smarrita, perdendo la sua capacità di anticipare le tendenze del mercato e di innovare il suo format distributivo. Insomma Mediaworld dal 2013, da traino del mercato è diventata una moderna ruota di scorta, quelle che quando per una foratura le monti fanno fatica a rotolare.

Come dicevamo all’inizio, nel 2017 Mediaworld ha chiuso il bilancio con un rosso di 17 milioni di euro a fronte di una situazione congiunturale del settore senza grandi scossoni e del nostro Paese in netta ripresa economica. Secondo GFK, le vendite complessive di prodotti elettronici in Italia (18,6 miliardi di euro) sono rimaste sostanzialmente stabili, facendo registrare una flessione intorno all’1%. Nel 2016, per dovere di cronaca, l’azienda aveva maturato utili per 15,1 milioni di euro.

Cambiano i vertici

Che l’anno stesse prendendo una brutta piega, i controller dell’azienda lo avevano intuito già la primavera scorsa tanto che furono cambiati alcuni manager in posti cardine. Inizialmente si pensava che a prendere le redini della catena fosse il tedesco Jurisch Christian, chiamato in causa dal CDA nell’aprile 2017. Jurisch Christian nel nuovo organigramma ricopre invece il ruolo di chief financial officer, mentre la carica di ceo è toccata all’italiano Guido Monferrini che scalza Joachim Rösges, in Italia dal 2013, il quale esce dai ranghi Mediaworld.

La terapia d’urto, evidentemente non è bastata perché alla fine il buco è sotto gli occhi di tutti. E l’ottimo andamento delle vendite online, che nel primo semestre dello scorso anno erano cresciute del 45%, non è bastato a tamponare l’emorragia dei negozi fisici in cui le vendite sono calate nello stesso periodo del 3%. In parole più semplici quello che Mediamarket perde nei negozi non lo recupera con le attività dell’online.

Negozi da aggiornare

In una nota diffusa dai sindacati lo scorso 28 febbraio apprendiamo addirittura che “nei punti vendita il sistema informatico è vetusto e in alcuni negozi non funziona correttamente neanche il Wi-Fi. Il layout degli accessori per la telefonia, unico segmento di prodotti con margini alti, è vecchio e confusionario, in alcuni punti vendita il rifornimento è addirittura affidato a una società esterna. Il tentativo di recuperare margini vendendo le garanzie non è stato supportato da un’adeguata formazione del personale; l’unica politica aziendale per incentivare a vendere polizze è stata quella di organizzare gare tra punti vendita che rasentano il ridicolo”. Come dire, sostengono i sindacati, se dobbiamo combattere forniteci almeno le munizioni.

Ma tant’è il rosso è lì a testimoniare una lunga serie di errori ai quali non sappiamo quando e come l’azienda abbia intenzione di porre rimedio. Eppure il pessimo 2017 per un’azienda delle dimensioni di Mediamarket potrebbe essere sanato in breve tempo. In attesa che i vertici di Mediaworld dichiarino la nuova strategia, non possiamo che sottolineare l’approccio goffo e un po’ naïf delle ultime settimane: sul fronte dei prodotti le novità sono i vibratori & co, mentre, sul fronte della riorganizzazione aziendale Mediamarket ha deciso di andare allo scontro frontale con i dipendenti. Lo scorso 3 marzo, infatti, i lavoratori di Mediaworld hanno attuato uno sciopero a seguito della decisione di chiudere due punti vendita “poco redditivi” a Grosseto e a Milano Stazione Centrale. Sull’agitazione dei lavoratori pesano e non poco la scelta di Mediaworld di confermare in modo  definitivo la cessazione dal 30 aprile prossimo del contratto di solidarietà e la volontà di risolvere definitivamente la questione degli esuberi. E dal 1° maggio 2018 (festa del lavoro) i vertici della catena hanno deciso di modificare i compensi del lavoro domenicale, portato dal 90% al 30%.

Insomma la situazione reale dell’azienda ha l’aria di essere un “commissariamento” visto che è stata presa in mano dal responsabile finanziario di Mediamarket, il già citato Jurisch Christian, che non a caso riferisce direttamente alla casa madre tedesca. Si sa, in Germania non vanno molto per il sottile quando di mezzo c’è l’Italia.

E per far capire al personale che l’azienda sta attraversando tempi veramente duri, e quindi abbassare le pretese sindacali, il management ha deciso il trasferimento dalla sede storica e di proprietà di Curno (BG) a Verano Brianza (MB), in Via Furlanelli, 69 dove gli uffici saranno dimensionati e in affitto.

Da qualche anno gli addetti alle vendite non stanno dimostrando attaccamento all’azienda, nell’enclave di Curno il management non aveva i toni e i comportamenti di una multinazionale, un tempo i rapporti con le aziende fornitrici erano finalizzate, in prima battuta, principalmente, all’interesse della società di distribuzione.  Ecco, da una società che ha costruito il suo successo sull’innovazione, ci saremmo aspettati qualcosa di diverso, qualcosa di innovativo per risolvere la difficile situazione.

Sdrammatizzando, viene da pensare che il problema si porrà per la gestione dei resi e l’assistenza dei nuovi sex toys. Stai a vedere che, nell’ipotesi in cui si realizzi un grande successo di vendite, come è già accaduto sia per i TV sia per gli impianti audio, alle aziende produttrici dei giocattolini sexy non venga in mente di aprire proprio in Mediaworld delle aree demo aperte al pubblico. Magari a pagamento.

© 2018, MBEditore – TPFF srl. Riproduzione riservata.

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