Fede, sofferenza e sacrificio: Silence è uno dei film meno immediati di Scorsese, ma regala grandi momenti di Cinema e emozione. Blu-ray di 01 distribution non impeccabile ma solido nella qualità generale.
Silence è un film che Martin Scorsese desiderava ardentemente di girare da anni: le prime versioni della sceneggiatura (tratta dal romanzo di Shusaku Endo del 1966) scritta insieme a Jay Cocks risale agli inizi degli anni ’90 e il regista si era posto l’obiettivo di girarlo dopo Gangs of New York (2002), scritturando Daniel Day-Lewis nei panni di Padre Ferreira e Gael García Bernal in quelli di Padre Rodrigues. La raccolta fondi non andò però a buon fine e Scorsese partì invece con al produzione di The Aviator.
Dopo quasi 15 anni ecco finalmente il progetto prendere vita ed è una “coincidenza” quanto meno singolare che Silence arrivi subito dopo il diametralmente opposto The Wolf of Wall Street. Dalla dissolutezza, corruzione, il lusso più sfrenato e l’amoralità totale di quest’ultimo alla profondità emotiva, la riflessione sulla fede, la sofferenza e l’abnegazione totale di Silence. Un abisso che si estende anche alla modalità di messa in scena, con il ritmo compassato, i movimenti di macchina misurati e la colonna sonora quasi assente o minimalista in totale contrasto con il ritmo ben più vorticoso, la verbosità e il frastuono che caratterizzano Wolf.
Silence narra quindi le vicissitudini di Padre Rodriguez (Andrew Garfield) e Padre Garupe (Adam Driver), due giovani preti gesuiti che nel 1633 partono per il Giappone, dove sono in corso violente repressioni verso i cristiani, alla ricerca del loro padre spirituale, Ferreira (Liam Neeson) che dalle ultime notizie ricevute pare abbia rinunciato alla fede. I due giungono nel paese del sol levante con l’aiuto di Kichijiro, un rinnegato con un grande peso sulla coscienza che si propone di aiutarli. Arrivati in clandestinità, i due preti incominciano a predicare e celebrare la messa e i sacramenti in segreto nei piccoli villaggi locali, dove i giapponesi convertiti e privi di una guida sono felici di accoglierli. Ma la ricerca di padre Ferreira si dimostra più difficile del previsto dato che gli uomini dell’imperatore, capitanati dall’enigmatico e crudele Inoue, passano di villaggio in villaggio sottoponendo a crudeli prove i cristiani per smascherarli e infine punirli con la morte con i metodi più disparati e atroci… Fino a che punto si spingeranno Rodrigues e Garupe per portare la parola del Signore?
Temi profondi che si spingono ben oltre la “semplice” questione del credo, che Scorsese ha avuto modo di sviluppare negli anni partendo dalla storia vera narrata nel romanzo di Endo, e che ripropone con grande senso della misura in questo film lontano anni luce dalle produzioni hollywoodiane odierne, che vive di tempi dilatati e splendide immagini dalla cornice naturale (Kurosawa docet) in netto contrasto con l’efferatezza delle persecuzioni (non si ha mai però la sensazione che la violenza sia esibita gratuitamente). In un’epoca in cui siamo bombardati da immagini in ogni momento della nostra vita, proprio l’importanza dei simboli, in particolare delle icone religiose (la croce, il volto di Gesù) e del grande potere in grado di suscitare nell’uomo, sono il cuore pulsante del film dal primo all’ultimo (magnifico) fotogramma.
Fondamentale la bravura degli interpreti: il cast giapponese è fenomenale (c’è anche Shin’ya Tsukamoto, regista di Tetsuo: The Iron Man), Neeson è perfettamente in parte, così come il rude Adam Driver, ma il ruolo più difficile spetta a Andrew Garfield, chiamato a esprimere in modo efficace il “giovane spirito combattivo” e entusiasta di Rodrigues che, man mano che la vicenda prosegue, viene sempre più duramente messo alla prova dagli eventi. Sicuramente si tratta della prova più matura della sua carriera, anche se personalmente non sono del tutto persuaso che, in mano a un attore dotato di maggior “gravitas” drammatica (come l’inizialmente scritturato Gael García Bernal), il ruolo sarebbe stato ancora più incisivo. Dubbio che rimarrà senza risposta.
Un’opera filmica di rara bellezza ma ruvida, per nulla accattivante, in grado però di crescere di visione in visione e che verrà rivalutata col tempo.
VIDEO
Girato principalmente in pellicola 35mm e in parte in digitale a 2.8K, in Silence dominano la “resa analogica” delle immagini, la composizione semplice e al tempo stesso ricercata del quadro, la luce naturale conferita dalle condizioni atmosferiche e dalle torce infuocate delle scene notturne. Solo alcune brevi inquadrature in mare aperto, dove la CGI fa capolino, rompono questo “idillio”. Il master americano è 4K, quello utilizzato per la nostra edizione (con le titolazioni in italiano) con ogni probabilità è solo 2K, eppure dal punto di vista della definizione ci troviamo di fronte a un prodotto che in più punti sfiora l’eccellenza, forte di un dettaglio sui primi piani e sui paesaggi assolutamente degno di nota anche se privo di quell’impostazione “razor” contrastata tipica del digitale. La percezione del dettaglio varia di scena in scena e sembra in parte in funzione delle ottiche utilizzate (talvolta si nota la tipica distorsione dei grandangoli ai margini del fotogramma), in parte alla luminosità della scena stessa e all’incidenza della compressione che, come abbiamo notato in molti titoli 01 distribution recenti, in alcuni frangenti sale sopra il livello di guardia.
La durata di 160 minuti e la presenza di due tracce lossless non sono però una scusante, dato che sono rimasti inutilizzati circa 12Gb di spazio sul BD 50. Capitano quindi alcune inquadrature in cui il bit-rate scende troppo facendo emergere degli artefatti sui fondali o sulle gradazioni di colore, come nel cielo notturno a 16:49 (qui il bit-rate precipita per qualche secondo a 4 mb/s) o al minuto 134 sulle travi di legno sullo sfondo. Fortunatamente si tratta di episodi isolati, mentre per la stragrande maggioranza della durata non si notano artefatti di sorta durante la visione.
A livello cromatico i colori caldi delle fiamme, così come le tonalità bluastre della nebbia e i verdi accesi della vegetazione ritratti dalla fotografia di Rodrigo Prieto sono uno spettacolo per gli occhi e anche il livello del nero è particolarmente apprezzabile (eccellente la resa nelle caverne all’arrivo dei due preti in Giappone).
AUDIO
A dispetto del titolo, Silence non è affatto un film silenzioso, ma i suoni che lo permeano sono ben distanti dalla tipica produzione americana. La colonna sonora interviene con passaggi talmente subliminali (senza mai caricare drammaticamente in crescendo come in uno “score” tradizionale) che al termine della visione ci si potrebbe chiedere se davvero fosse presente una colonna sonora. Il soundstage è invece pervaso dai suoni della natura (basti l’incipit della pellicola per capire il mood), con il rumore del vento, degli insetti, gli uccelli e del mare che accompagnano costantemente il peregrinare dei personaggi.
In questo contesto scordatevi quindi panning, colpi del canale LFE e qualsivoglia “spettacolarizzazione” del suono: il massimo coinvolgimento è offerto dalla drammatica scena delle croci in balia delle onde dell’oceano e del loro fragore. In questa scena emerge anche un disturbo evidente sulla voce di un personaggio per pochi secondi, che potrebbe essere proveniente dalla presa diretta e non un errore di mix.
A parità di codifica –entrambi gli idiomi sono in DTS-HD Master Audio 5.1– la traccia originale è più performante grazie a un volume degli effetti più incisivo e una leggera ma percepibile “cristallinità” del messaggio sonoro in più rispetto alla versione italiana. Di contraltare, in inglese si avverte ogni tanto uno stacco troppo netto tra le parti di dialogo provenienti dalla presa diretta e da quelle doppiate successivamente in studio, mentre la traccia italiana -essendo completamente doppiata- perde qualcosa nel dettaglio ma risulta più omogenea nella resa delle voci.
EXTRA
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