Che i vinili da 180 grammi abbiano dei punti a favore “fisici” rispetto a quelli tradizionali più leggeri non è un mistero, ma si sentono anche meglio?
Se bazzicate negozi di dischi (almeno quei pochi che sono rimasti), fiere dell’usato o siti web specializzati, vi sarete sicuramente imbattuti in vinili che sulla copertina riportano un adesivo con su scritto “Vinile da 180 grammi” (o qualcosa di simile). Sono in molti a credere che i vinili da 180 grammi (o quelli più rari da 200 grammi) siano più una trovata commerciale, utile a invogliare all’acquisto il feticista più incallito (e a far alzare il prezzo del vinile), che non una vera e propria conquista per gli audiofili.
Oggi i vinili da 180 grammi sono molto comuni e il loro appeal, oltre alla sensazione di acquistare qualcosa di più resistente e soddisfacente rispetto ai 33 giri tradizionali, si basa anche su elementi oggettivi difficili da confutare. Se però questi plus vadano a migliorare anche la qualità audio vera e propria di un vinile, è tutto un altro discorso.
I dati oggettivi e inconfutabili riguardano proprio il peso. 180 grammi sono ovviamente più dei 120-140 grammi dei vinili standard e, durante l’ascolto, il peso maggiore del supporto fa sì che ci sia una miglior aderenza sul piatto del giradischi, con una resa teoricamente superiore dovuta al fatto che la riproduzione risulta più naturale e fluida.
Inoltre, il peso maggiore e quindi lo spessore più accentuato fanno sì che i vinili si consumino meno rapidamente di quanto accade per quelli più leggeri e che riescano a resistere molto meglio al cosiddetto warping, un fenomeno di piegamento e ondulazione che alla lunga può rovinare la superficie di un disco in vinile. Un altro nemico dei vinili è poi il calore e anche da questo punto di vista è logico che un disco più pesante e spesso possa contrastarne meglio gli effetti (che comunque rimangono) rispetto a vinili più sottili. Anche la resistenza alle risonanze è superiore rispetto ai supporti più leggeri e non va dimenticato nemmeno il processo produttivo che sta dietro a un disco in vinile.
Questo supporto viene stampato utilizzando un’apposita pressa che imprime circa 120 atmosfere di pressione. Tale processo dura circa 30 secondi per i vinili tradizionali, mentre per quelli da 180 grammi, proprio per il loro maggior spessore, la pressa agisce per un tempo superiore, rimanendo ferma più a lungo sul disco. La conseguenza è che i solchi del vinile, dal momento che rimangono a temperature alte per più tempo, riescono in teoria ad accogliere un numero maggiore di informazioni.
Se questi sono i fatti oggettivi che caratterizzano un vinile da 180 grammi, il discorso diventa molto più soggettivo (come un po’ tutto quello che riguarda l’audiofilia) quando si parla di effettivi benefici sonori. Dopotutto, lo standard tecnico con cui i solchi vengono modulati e tagliati sulla superficie del disco è esattamente lo stesso su tutti i dischi in vinile indipendentemente dal loro peso e, soprattutto, la qualità audio di un vinile dipende da diversi fattori, come la sorgente (digitale o analogica), la qualità del vinile utilizzato e il processo di masterizzazione, che può portare a un suono più o meno compresso e bilanciato/sbilanciato.
Sono tutti fattori che non dipendono dalla grammatura di un vinile ed è per questo che sarebbe ingiusto chiedere a un vinile più pesante di suonare meglio di uno più leggero. Anche perché, se alcune etichette specializzate in prodotti audiofili (si pensi alla Mobile Fidelity Sound Lab) realizzano vinili da 180 grammi di eccellente fattura partendo dai master originali di un album per finire con un processo di stampa allo stato dell’arte, molte altre etichette più mainstream solitamente non hanno la stessa cura e dedizione e sfruttano l’effetto “180 grammi” solo per questioni di marketing.
Mi è capitato ad esempio di trovare più scadente la qualità audio di una ristampa in vinile da 180 grammi rispetto alla versione originale con vinile più leggero (l’album in questione è The Anthology dei Tribe Called Quest), a riconferma di come, se all’origine di una stampa (o ristampa) ci sono master scadenti, una stampa scadente e un mastering scadente, il peso maggiore può fare ben poco.
Lo scenario migliore rimane ovviamente quello del peso maggiore abbinato a un processo produttivo allo stato dell’arte e infatti, anche se non li ho sentiti con le mie orecchie, c’è un consenso pressoché unanime sull’eccellente qualità dei precedenti UHQR (Ultra High-Quality Record) e degli attuali Ultradisc One-Step a 45 giri di Mobile Fidelity Sound Lab, edizioni in vinile da 180 grammi che uniscono un processo di stampa di altissimo livello a un’accuratissima rimasterizzazione partendo dai master originali. Certo, a 125 dollari ad album, non sono edizioni che tutti possono permettersi (anche perché si tratta di tirature limitate), ma per chi vuole il meglio rappresentano il piatto più ghiotto che si possa mettere in tavola.
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