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La cultura della musica, questa sconosciuta

Non tanto la seconda quanto la prima, talmente latitante che ormai sono definiti “grandi artisti” anche perfetti sconosciuti il cui contributo al mondo musicale si regge sui followers che vantano nei vari social. Indubbiamente queste forme di (pseudo)socialità sono delle vetrine abbastanza ampie sulle quali sfoggiare il proprio talento, peccato però che proprio questa forma di esposizione consente a chiunque di mostrarsi sulla scena.

Una forma piuttosto falsa di democrazia se vogliamo, qualcosa che dietro alla possibilità concessa a chiunque di apparire e dire la sua nasconde parecchie insidie, di tipo autoreferenziale principalmente, una forma di pseudo cultura tutta particolare che al momento sembra andare parecchio di moda.

Cosa ne direste se in un’aula di tribunale chi (vi) giudica fosse qualcuno in possesso di nozioni pescate in maniera casuale su Internet? Qualcuno che invece di seguire un percorso di studi organico abbia formato la propria “cultura giuridica” leggendo pareri in giro per il web e poi – considerato in qualche maniera attendibile – sieda di fronte a voi nell’intento di esprimere un parere circa un contraddittorio?

Non credo ne sareste felici, quanto meno preoccupati, se non altro per l’incertezza di un giudizio ampiamente viziato da considerazioni del tutto personali basate su circostanze praticamente ignote.


Di recente ne abbiamo viste e lette di situazioni simili, non occorre sforzarsi più di tanto.

Ma parlando di musica, non è possibile non accorgersi di un binomio che da tempo – troppo a mio modesto avviso – si è fatto largo minando a dovere le già deboli fondamenta culturali pertinenti l’argomento: l’assenza quasi totale di cultura musicale.

Sfruttando la rete è molto facile reperire l’esatto significato del termine cultura: il bagaglio delle conoscenze associate alle eventuali esperienze acquisite tramite lo studio, ai fini di una specifica preparazione in uno o più campi del sapere, come quello musicale, storico oppure letterario.

Peccato che qualcuno più che di un bagaglio disponga di un piccolo zainetto, nemmeno tanto pieno a dire il vero.

Considerazione immediata: possiamo dare la colpa di questa situazione a qualcuno?

A dire il vero, almeno potenzialmente, sarebbe possibile inquadrare questa mancanza in primis alla scuola, laddove un tempo si studiava seppure in modo superficiale musica, esprimendo successivamente quanto acquisito mediante il famoso flauto, chi non lo rammenta?

Spariti, sia il flauto che la lezione di musica – così come la geografia e l’educazione civica – aspetto che sottende a quella forma quasi istituzionale di mancanza di formazione opportuna ed efficace al fine di meglio indirizzare le masse verso l’ignoranza – perdonate l’intrusione nel sociale – affinché sia possibile dare in pasto contenuti artistici assai discutibili con estrema disinvoltura.

Ed è proprio dal recente Eurofestival 2023 che provengono le chicche migliori, l’evidenza più sfacciata che mostra quanto in fin dei conti chi è chiamato a giudicare non sia propriamente in grado di farlo in modo compiuto ed attendibile.

Non è possibile non accorgersi che la canzone che ha vinto è sfacciatamente assemblata a partire dal repertorio degli ABBA, così come non è possibile votare al secondo posto un soggetto dal verde pagliaccetto buono (forse) per un innocuo sottofondo da bar.

Taccio sulla terza posizione, talmente scopiazzata da Rihanna & Co. da suscitare tristezza, eppure, al suo posto non mi lamenterei di certo del piazzamento ottenuto.

Quarto il buon Mengoni, che ha mostrato lo spessore dell’italiana maniera di far musica, melodica quanto si vuole ma sicuramente molto al di sopra dei concorrenti.

Ecco, questi sono i risultati del non disporre di una cultura adeguata in campo musicale: è sufficiente una sapiente e ben organizzata spettacolarizzazione per conferire ad un brano spazzatura qualità che non possiede per ottenere votazioni a favore, ma la cosa peggiore è che chi vota, talvolta, è perfettamente convinto di avere davanti un fuori classe!

Basta leggere determinati commenti sui social, dove affermazioni eclatanti sono attribuite a certi artisti, prova evidente che non si ha la minima idea di quanto inutili siano certe proposte.

Certo, direte voi, non esiste solo la sacralità della musica classica o del rock o del jazz – aspetto sul quale sono perfettamente d’accordo – ma riconoscere qualità inesistenti significa non avere i mezzi per fornire un giudizio concretamente utile.

Qualcuno ha notato la notevole bravura della partecipante estone? Oppure l’originalità della proposta della Romania? Addirittura il gruppo australiano – sebbene richiamassero i YES in modo abbastanza evidente, e comunque non stiamo parlando di certo di un gruppetto –  ha saputo fare di meglio.

Ma per cogliere certe qualità, inevitabilmente, occorre conoscere per riconoscere quello che si sta ascoltando inquadrandolo in un determinato contesto, diversamente si continuerà a gridare al miracolo al cospetto di pallide forme di imitazione ai limiti del plagio.

Come al solito, ottimi ascolti!!!

 

 

 

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