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Maschiezza di ieri e di oggi: Highwaymen, un classico di stile

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Chi sono gli Highwaymen? Un supergruppo country-rock formatosi durante gli anni Ottanta dall’unione di quattro grandi protagonisti del Novecento musicale americano. Un gruppo che ora non esiste più, solamente due membri di quella leggendaria formazione sono ancora in vita. Perché oggi, nel 2022, parlare di una band che, in quanto a musica e, ancor più, per stile e espressione umana è così distante dall’oggi? Forse perché un viaggio nella loro musica, a contatto con la loro cultura, nella loro maschia sensibilità, potrebbe essere esemplare per capire il significato di coerenza fra espressione e spirito. Quando la musica scrutava l’anima e si faceva veicolo d’espressione della propria, vera, identità. Piaccia o meno, ma aldilà di ogni apparenza, di ogni strumentalità.

1985. Kris Kristofferson (Me and Bobby Mcgee) e, probabilmente, le tre stelle assolute dalla new country music, ovvero Willie Nelson, Johnny Cash ed il maestro Waylon Jennings, formano gli Highwaymen, i fuorilegge. Dieci anni di successi, tre album prodotti, un leggendario concerto live nel 1990 al Nassau Stadium (recentemente restaurato e dotato di validissima qualità audio e video), lo scioglimento. A seguire, dopo pochi anni, la scomparsa di Wayon e di Cash, rimasti le voci più autorevoli e rappresentative dell’intera storia della musica country americana.

Stiamo trattando di veri giganti del genere, fondatori di un country-rock moderno, distaccato dagli originali stilemi pop delle origini, bensì tendente ad una musica più introspettiva, drammatica e personale. Tale stilema venne tipizzato proprio da Waylon, famoso per la voce arcana e baritonale, durante gli anni Settanta, e poi seguito a ruota da molti altri.

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The Essential Highwaymen, Sony 2010 (CD, edizione rimasterizzata).

La tradizione non mente: si ascolta quello che si vede e non si attendono rivoluzioni

Questo è lo stile degli Highwaymen. Un sapiente country, forgiato in decenni di album e live, dalla passione e dalla sterminata cultura di quattro voci possenti, che hanno rivoluzionato il genere, che hanno attraversato, manifestando con la loro canzone, buona parte della storia americana del XX secolo.


Su una base country votata ad una dimensione passionale, interiore, spesso autobiografica, la musica si amalgama con un blues, talora dai tratti country-southern (vedere Pure Prairie League e gli Outlaws più morbidi) e western. Non si vira mai verso un rock invadente, ma tanto basta per rendere la musica sempre rapida e dinamica, distante da quel country corale diffuso negli States fino agli anni Sessanta. Siamo, parimenti, distanti dalle declinazioni pop, radio-friendly alla Garth Brooks e in voga ancora oggi.

Insomma: un country maturo ed esperto. Un compendio fra passato e presente, dato anche dalla massiccia presenza dei classici dei quattro protagonisti. La stessa band, alla stregua dei Traveling Wilburys per il soft-rock, fu pensata come una magna riproposizione, epica e cavalleresca, della musica dei quattro cantanti, che troneggiano sul palco, come veterani vissuti, ma ancora in grado di esserci, soprattutto.

Un’avventura epica nella musica country-western. Fra le hit, alcune da citare

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L’eponimo album (Columbia 1985).

Impossibile non menzionare l’eponima canzone. Narrazione del destino di quattro classici pionieri americani e rappresentazione spirituale dell’America stessa, è cantata dai quattro. Una cavalcata toccante e poetica, dove si manifestano in maniera assoluta le quattro iconiche voci, unite in una prosopopea spirituale trasformata in autobiografia. Una canzone che è l’America, quella classica e polverosa del west, quella dei ribelli e degli eroi della tradizione.

Evocativa e quasi cinematografica Desperados waiting for a train. Un omaggio alla tradizione dei fuorilegge e al selvaggio west. Sulla stessa impronta è la cover di Nelson e Cash di Ghost riders in the sky (live) che, insieme alla versione rock degli Outlaws spicca su tutte le altre.

Toccante Casey’s last ride, dominata dalla voce suadente e melodica di Kristofferson, magistrale anche nella sua Me and Bobby Mcgee, che imprestò all’indimenticata Janis Joplin, la quale incise la canzone poco prima di morire. Canzone che lo stesso Kris non riuscì a suonare per decenni a causa del dolore che gli provocava, visto il fugace amore vissuto con Janis.

Un esempio di stile, prima che di musica

Epici allora, ancora oggi capaci di smuovere qualunque appassionato sensibile alla musica di stile americano. Nessun punto di contatto con l’usanza musicale attuale. A partire dall’espressione, dalla presenza scenica degli stessi cantanti. Con una musica odierna dove la virilità è quasi rigettata, dove la fluidità è una bandiera che tutti debbono doverosamente e politicamente esporre indipendentemente dalla propria musica, questa musica ci azzecca poco. E allora proviamo ad andare oltre a questa stereotipizzazione.

È una musica bella (e non è poco), ad essere didascalici. È sincera. Dice quel che pensa, è quello che professa di essere: senza slogan, senza fare piacere a nessuno, senza inchinarsi ad una politica o una moda. Perché la moda passa, ma la musica, quella che ha qualcosa da dire, resta.

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