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AFmusica: Bill LaBounty (Sony Music Records – 1982)

Il Giappone, oltre che essere stata la patria dell’Hi-Fi ed aver contribuito con produzioni audio assolutamente degne di nota – i mitici giradischi a marchio MICRO SEIKI ad esempio – vanta una ben consolidata produzione di riedizioni di opere di artisti che in passato hanno lasciato un profondo segno nel panorama della canzone d’autore.

Ogni tanto ci piace segnalarvi qualche chicca musicale, ed ovviamente non fa eccezione questa proposta, legata ad un artista che i più anziani ricorderanno senza ombra di dubbio.

Praticamente impossibile trovarne una copia nuova – solo come usato ed anche a caro prezzo – per fortuna a volte ritornano, ed è un vero piacere, un po’ come ritrovare un caro vecchio amico dei tempi passati, emozioni sopite che improvvisamente si destano da un letargo, fin troppo lungo talvolta.

 

 

In questo caso, con un pizzico di orgoglio, vi presento un lavoro datato 1982 di cui si erano perse le tracce, un vero peccato, sia per gli aspetti prettamente artistici che, inevitabilmente data la nota propensione verso la qualità audio che ci contraddistingue, da quelli tecnici.


Ma chi è Bill LaBounty?

Trattasi di un non troppo noto cantautore americano, figlio di quella generazione di autori easy listening di livello assai elevato – anche se personalmente tale inclusione a me pare poco adeguata – spesso sottovalutati ma in grado di comporre canzoni che parlano direttamente al cuore, caratterizzate da suoni ai limiti della perfezione espressione di una cura maniacale che si traduce in un’assoluta piacevolezza di ascolto.

Non eccessivamente prolifico a dire il vero – dal 1975 ad oggi ha pubblicato una manciata di lavori – ma terribilmente efficace pur nel suo timido elargire perle di rara bellezza, come questa.

Si avvertono nettamente influenze, jazz e blues, con fiati pronti a sottolineare punteggiando con la loro voce il fluire della canzone. Immancabilmente la chitarra ritmica le cui corde stoppate rappresentano un vero e proprio marchio di fabbrica dell’epoca; a sollecitare la sei corde Dean Parks che molti conosceranno senz’altro, paladino di un suono morbido e suadente ed il più energico (ma sempre misurato) Steve Lukather.

La pletora di musicisti che accompagnano in questo lavoro Bill LaBounty sono quanto di meglio fosse disponibile all’epoca: Steve Gadd, Greg Phillinganes, Jeff Porcaro, David Sanborn e parecchi altri, veri e propri astri splendenti di quel sound assolutamente USA che a quei tempi faceva faville.

A tacere dei coristi, James Taylor e Patti Austin tanto per dire, non certo due vocine tra le tante.

E faville, letteralmente, sono quelle che si producono all’ascolto di questo splendido disco, già di suo eccellentemente inciso fin dalla prima versione immessa sul mercato.

L’opera di rimasterizzazione – che si avvale del sistema SBM (Super Bit Mapping) proprietario di SONY – non fa altro che sottolineare quanto di buono fosse stato fatto all’epoca, rendendo disponibile all’orecchio i numerosi dettagli celati nelle morbide pieghe delle canzoni che compongono il disco.

Le note del piano elettrico Fender Rhodes risuonano caratterizzate dalla sonorità tipica, immediatamente riconoscibile senza possibilità di errore. Il basso, sollecitato dalle abili dita di Willy Weeks oppure di Chuck Raney, è perfettamente inserito nel contesto, suona pieno e perfettamente individuabile nel contesto.

Il mitico piano elettrico FENDER RHODES

 

Molto bella la batteria, classica nel suono – ovvero priva di inopportuni ritocchi tesi a caratterizzarne eccessivamente la sonorità (ed è un bene!) – pieno e alquanto realistico, ovviamente (e per fortuna) acustica.

Musicisti del calibro di Steve Gadd, Jeff Porcaro ed il buon Andy Newmark sono coloro che si occupano di percuoterne con estrema perizia le pelli del set, magici, letteralmente.

Il bello di questo disco, infatti, oltre che nell’innegabile piacevolezza dei brani, sta proprio nella perfetta miscela di sonorità che lo caratterizzano, mai eccessive, ridondanti o fuori luogo.

Suoni molto belli, dinamici, turgidi e corposi – nulla a che vedere con certe sonorità artificiali che ben presto portano alla noia – suoni sui quali la morbida ma graffiante voce di LaBounty ha modo di librarsi sostenuta a mestiere da grandi musicisti.

Pezzi intimistici: si parla di amori finiti, mai iniziati o perduti a causa di scelte sbagliate, spezzoni di vita e di anima i quali, inizialmente malamente messi insieme, ritrovano il giusto collante nel tempo e nella rivincita che l’umana natura, talvolta e col giusto impegno, riesce a riprendersi.

Se siete alla ricerca di un disco davvero bello, in grado di riconciliarvi con lo stress quotidiano, ben suonato ed ottimamente suonante – credetemi, un vero piacere – regalatevi quest’opera del buon Bill LaBounty, non ve ne pentirete.

Come al solito, ottimi ascolti!!!

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