Talvolta una piccola modifica all’assetto timbrico di un programma musicale attraverso l’uso “equilibrato” dei controlli di tono potrebbe davvero rivelarsi risolutiva consentendoci fruire al meglio dell’opera scelta.
Per alcuni potrebbe trattarsi dell’ennesima rivisitazione di qualcosa di ben noto agli appassionati di audio, ma vorrei affrontare l’argomento controlli di tono a beneficio dei sempre troppo pochi neofiti che decidono di interessarsi di alta fedeltà.
Il motivo dell’esistenza dei toni è abbastanza chiaro, quello che invece resta spesso oscuro è il perché dovrebbero essere utilizzati e quando, due aspetti che paradossalmente sono messi in disparte in nome di una intoccabile purezza originaria alla quale si aggiunge spesso una specie di timore al solo nominarli, questo malgrado sia noto che la pratica totalità delle produzioni esistenti abbiano subìto “a monte” un ampio modellamento atto al raggiungimento del risultato sonoro desiderato: ebbene sì, anche quel disco che ritenete un capolavoro e che vi emoziona profondamente per quanto suona bene evidenziando le migliori caratteristiche del vostro impianto ne è stato destinatario.
Ora, posto di fronte a questo assunto, molto spesso l’appassionato medio va in crisi arrivando a dubitare di ciò che sta ascoltando nonché smettendo addirittura di fidarsi delle proprie orecchie.
Metaforicamente parlando, è come se ci si rifiutasse ostinatamente di indossare occhiali da vista per il solo fatto che la natura non li ha previsti al momento della nascita.
Credete stia esagerando? Fatevi un giro nei vari forum e leggete attentamente quale sia il comune pensiero che circola in merito a questo circuito. Tra l’altro, produttori quali Accuphase, Luxman e McIntosh, tanto per citare tre nomi che probabilmente conoscono anche i gatti, non li hanno mai abbandonati, una ragione ci sarà.
In effetti – e parlo (anche) per esperienza personale – mi è spesso capitato di acquistare opere la cui ripresa, pur non essendo in generale affatto scarsa, manifestava un certo arretramento della gamma bassa oppure un’indebita esposizione di quella alta, caratteristiche in grado di rovinare letteralmente il piacere dell’ascolto; se non altro non ho mai compreso fino in fondo perché l’opera di un contrabbassista dovrebbe avere un basso debole, eppure. Il suono di un contrabbasso dal vivo (quello è il riferimento!) esprime una notevole potenza, le risonanze del corpo dello strumento si spandono per l’ambiente in modo molto energico ed il decadimento del suono presenta una certa tempistica, caratteristiche che se non ben registrate – o in qualche maniera attenuate – rendono la timbrica di questo strumento arida ed esile, in altre parole, innaturale. E siccome si parla di alta fedeltà, va da sé che un simile connotato cozza violentemente con il concetto stesso trasformandosi in un vero e proprio ossimoro sonoro.
Come da titolo quindi, un lieve ritocco tramite i controlli di tono può conferire maggior peso compensando in parte la mancanza originale.
Attenzione certamente, che non tutti i controlli di tono sono uguali: si va dalla semplice accoppiata bass/treble (operante usualmente a 100Hz/10KHz) – ai quali si aggiunge talvolta il controllo delle medie, vedi MARANTZ – a sistemi maggiormente complessi di tipo grafico o parametrico (leggermente più complesso ma anche più efficace se ben usato) in grado di operare in modo più raffinato.
Questa disamina, necessariamente sintetica, non vuole e non può essere esaustiva di quello che in effetti è un concetto molto più complesso cui volendo – tanto per complicarci l’esistenza – potremmo aggiungere il fin troppo avversato loudness, ma questo è un altro discorso.
Come sempre, ottimi ascolti!
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