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Smart TV: il futuro sarà sempre più all’insegna di banner e ads?

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Gli ultimi risultati finanziari di Vizio dimostrano come la pubblicità mirata sugli Smart TV sia sempre più importanti per i produttori di TV e di piattaforme smart

Quella che arriva dagli USA è una notizia tra il curioso e l’inquietante. Nel suo ultimo rapporto sugli utili, il produttore americano Vizio, i cui TV e le cui soundbar non sono ancora distribuite in Italia ma che in patria è un brand decisamente importante, ha riportato un profitto lordo proveniente da pubblicità, abbonamenti e raccolta dati più del doppio di quello derivante dalla vendita dei TV.

Parliamo più precisamente di un profitto lordo di 57,3 milioni di dollari rispetto ai 25,6 milioni di dollari realizzati vendendo televisori. Parte del motivo di una differenza così marcata è che le spedizioni dei nuovi televisori Vizio sono diminuite da 2,1 milioni nel terzo trimestre del 2020 a 1,4 milioni nel terzo trimestre del 2021, mentre il segmento Platform+ di Vizio ha registrato una crescita significativa (+134% di entrate).

“Dal momento che Vizio offre un’esperienza di intrattenimento completa, dall’hardware e software, al contenuto e pubblicità, siamo in grado di offrire una proposta di valore interessante sia ai consumatori, sia agli inserzionisti che ai partner di contenuti. Siamo qui per definire il futuro del business della Smart TV” ha affermato William Wang, CEO di Vizio nel presentare i risultati finanziari del gruppo.


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Oltre che dalla vendita dei suoi televisori (tra cui modelli OLED), Vizio guadagna dalla vendita di posizionamenti pubblicitari sulla schermata iniziale del TV e dalla pubblicazione di annunci sui canali di streaming, oltre a consentire alle società di streaming di inserire pulsanti sponsorizzati sui telecomandi dei TV Vizio e a ottenere una parte degli abbonamenti che i possessori di TV vizio sottoscrivono con i vari servizi streaming.

Inoltre, Vizio raccoglie i dati degli utenti attraverso il suo programma InScape tramite la funzione ACR (Automated Content Recognition), che come suggerisce il nome serve per raccogliere i dati derivanti dalle abitudini di visione dell’utente (che deve però aver dato il proprio consenso in fase di setup iniziale del TV). Dati che possono rimanere all’interno dell’azienda che li raccoglie o, come nel caso di Vizio, venduti a terze parti.

Il valore dei dati ACR continuerà a crescere: dovrebbe diventare infatti un business da 5 miliardi di dollari entro fine anno. Questi dati forniscono una comprensione molto migliore dei modelli di visualizzazione, che a sua volta consente agli inserzionisti di indirizzare meglio gli annunci a un pubblico specifico, a seconda di quando, dove e su quale dispositivo sta guardando contenuti. Tutto ciò, teoricamente, dovrebbe aiutare il settore a proporre meno annunci (ma più mirati) per i quali i brand pagheranno di più.

Naturalmente, Vizio non è l’unico produttore di TV o di piattaforme a monetizzare sulla raccolta dati. Roku ha dichiarato apertamente di voler trasformare il proprio sistema operativo in una “piattaforma pubblicitaria di nuova generazione”, mentre Google ha iniziato a proporre annunci in riproduzione automatica su Android TV. LG ha recentemente lanciato in India, con l’obiettivo di portarlo anche in altri Paesi a partire dal 2022, un sistema alternativo per TV (River OS) basato proprio sugli annunci pubblicitari e Samsung sta inserendo annunci sempre più invadenti sulla schermata iniziale dei suoi Smart TV con sistema operativo Tizen.

Per fortuna gli annunci e gli ads sui TV di alcuni produttori possono essere disabilitati se non si accettano le relative condizioni (e il problema logicamente non sussiste se non si collega il televisore a internet), ma l’impressione è che i produttori di TV calcheranno sempre più la mano su questa forma di pubblicità senza che all’utente venga dato apparentemente nulla in cambio, se non un presunto miglioramento della personalizzazione dei contenuti da proporre, che però sempre più spesso nulla c’entrano con film o serie TV.

La cosa sarebbe meno fastidiosa se, accettando la raccolta di dati, l’utente avesse in cambio qualche forma di benefit, come uno sconto sull’abbonamento a un servizio streaming, dei buoni in denaro da spendere per altri prodotti del brand in questione o qualche forma di promozione vantaggiosa. Così invece non è e la sensazione è che dovremo avere a che fare con banner e annunci sempre più invadenti e intrusivi.

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