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I giovani e l’alta fedeltà: i motivi di un disinteresse

Ci si interroga spesso sul perché l’alta fedeltà non sia più di tanto frequentata dai giovani, restando piuttosto appannaggio delle generazioni maggiormente attempate, quelle che in teoria dovrebbero essere meno predisposte verso l’avanzare della tecnologia. Una piccola ma eloquente indagine ci racconta – almeno in parte – qualche ragione che giustifichi tale assenza.

Ed è stato molto semplice, è bastato porre quattro domande per comprendere uno scenario non sempre chiarissimo, almeno dal punto di vista di chi avendo la passione per l’alta fedeltà fatica a comprendere come non vi sia praticamente alcun ricambio generazionale.

Ascolti musica? Di che genere? I tuoi genitori sono appassionati di musica? Nella vostra abitazione è presente un impianto ad alta fedeltà?

Queste in sostanza le domande poste ad un certo numero di ragazzi, le cui risposte – lungi dall’essere inattese – hanno sottolineato come mediamente parlando il “no” sia presente in elevata percentuale, maggiormente se ci riferiamo alle ultime due domande.


Un esempio di moderna socialità: ciascuno è immerso nel proprio limitato mondo

 

Come già sottolineato in altri articoli, difficilmente ci si accosta ad un contesto in maniera casuale; un fratello maggiore, un genitore oppure un nonno (alle brutte va bene anche un caro amico) che trasmettano la propria passione per la musica o l’alta fedeltà, sono usualmente la scintilla che accende in noi la voglia di approfondire.

Il guaio, se vogliamo, è un altro: l’esistenza di certa musica.

Non volendo lasciare spazio a facili fraintendimenti sgombriamo subito il campo da inopportune considerazioni: tramite l’affermazione “certa musica” non intendiamo essere faziosi alludendo che solo determinati generi siano degni di essere definiti tali, in ogni caso appare evidente che alcuni siano indubitabilmente caratterizzati da certe caratteristiche in ampia antitesi con l’alta fedeltà.

Quando da ragazzi ascoltavamo la radio, ciò che veniva trasmesso era realmente suonato, intendendo con ciò che dietro al successo radiofonico vi era un gruppo di musicisti in carne e ossa che suonavano strumenti reali.

Ovviamente i vari brani avevano beneficiato dell’aggiunta di effetti sonori o trattamenti atti a migliorarne la fruibilità, ciò non di meno – tranne casi piuttosto rari – era necessario saper suonare uno strumento, alle brutte essere in grad0 di programmare un computer.

Gruppi come i Kool & the gang, Earth Wind & Fire, Delegation, Chic, Change, Whispers e moltissimi altri – ovvero quelli maggiormente in voga all’epoca – erano composti da musicisti reali, gente che sapeva suonare (spesso molto bene) ed era in grado di esibirsi anche in virtuosismi strumentali, soprattutto nei contesti live, occasione solitamente adatta a fare sfoggio di tecnica strumentale.

Chi avesse avuto la fortuna all’epoca di assistere ad un concerto degli EW&F si sarà reso conto della effettiva maestria nel gestire la parte strumentale oltre che quella vocale; il gruppo fiati di questa band era poi qualcosa di singolare ed entusiasmante.

Insomma, a parte il connotato tecnico-strumentale ed artistico, sul palco c’erano musicisti in carne e ossa!

Ed anche in discoteca le cose non erano molto differenti: la musica era comunque prodotta in un certo modo, suonata in concreto e non generata esclusivamente via PC.

Molti pseudo concerti avvengono in playback ed in assenza di musicisti|

 

Oggi, purtroppo, in massima parte si assiste a produzioni di derivazione informatica: suoni sintetici ed artefatti in unione ai più disparati effetti sonori ed al quasi sempre presente (soprattutto in certe produzioni) Autotune – un software di gestione della voce che in pratica “mette in regola” la più stonata delle voci consentendo a chiunque di cantare – la fanno da padrone.

A seguire, landscapes sonori ottenuti elettronicamente rappresentano “l’ambiente” dove l’evento sonoro si sarebbe verificato – o non verificato a seconda di punti di vista – qualcosa che definire artificioso non appare azzardato.

Ora, inutile prendersi in giro, quale correlazione ci sarebbe tra quanto appena narrato e l’alta fedeltà?

Timbrica, dinamica, palcoscenico virtuale, ampiezza, altezza e profondità di quest’ultimo, rispetto dei piani sonori (soprattutto per quanto attiene alla produzione classica) presenza scenica degli esecutori e quanto altro riconducibile alla fedeltà dell’evento sonoro sono praticamente assenti.

A tal punto, che senso avrebbe disporre di un buon sistema ad alta fedeltà? Logico che cellulare e cuffietta siano ben più che sufficienti.

Una cuffia ed un cellulare: l’impianto ad alta fedeltà di oggi?

 

Lo so, il discorso non è piacevole, ma non v’è alcun dubbio che la situazione sia questa. D’altronde quale timbrica ricercare in certi generi? Quale profondità della scena? Quale rispetto dei piani sonori o collocazione ambientale degli strumentisti?

A cosa un impianto dovrebbe essere altamente fedele? Ad un suono sintetico generato da un software? Nella capacità di ricostruire un ambiente generato elettronicamente?

Ecco, questa è l’oggettiva situazione, qualcosa di concreto e tangibile, una specie di involuzione cui si è giunti riducendo sempre di più la qualità reale della proposta, una caratteristica che ha portato al progressivo impoverimento e logico disinteresse verso la qualità percepita; in altre parole, che me ne faccio di una potente auto sportiva se poi posso girarci solo in giardino?

La soluzione? Forse risiede nella consapevolezza che esiste altro, che non esistono solo gli pseudo concerti di breve durata dove sul palco si agita un cantante (?) che borbotta su basi preconfezionate – quando non in playback – accompagnato da una coppia di ballerine ammiccanti adatte a distrarre dalla pochezza del contenuto artistico, considerando tale termine un mero eufemismo.

Occorre rieducare i nostri figli, fargli comprendere che la musica – quella seria – è ben altro, che diversi sono i riferimenti cui guardare.

Come al solito, ottimi ascolti!!! 

 

 

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