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(Ri)CHIUDONO I CINEMA, COSTI STREAMING ALLE STELLE

Chiusura cinema

Dal 26 ottobre e sino alla fine di novembre è stata decisa la chiusura dei cinema quale misura anti covid. Un provvedimento di pura demagogia

Con il DPCM firmato domenica da Giuseppe Conte – il quale di fatto mette in atto decisioni unilaterali ed autoritarie come non si vedeva su suolo italico da decadi – è stata nuovamente decretata la chiusura dei cinema. Questa volta fino alla fine di novembre. Naturalmente solo un’anima candida potrebbe pensare che la cosa termini li: per tutta una serie di motivazioni – non ultime i rinvii dei titoli blockbuster a 2021 inoltrato – è molto più probabile che “la serrata” si protragga (almeno) fino a marzo del prossimo anno. Ma la domanda clou che aleggia tra gli addetti ai lavori (e non solo) è: si tratta davvero di una misura necessaria? O anche solo efficace?

Chiusura cinema

Per rispondere basta guardare ai dati disponibili. Ed ai fatti reali. I primi sono abbastanza inequivocabili: dai tracciamenti incrociati eseguiti attraverso le normative anti contagio – quelle che impongono la registrazione degli spettatori attraverso generalità e numero di telefono – a fronte di quasi 350 mila presenze rilevate tra giugno ed ottobre, un unico contagio è stato confermato. Riprova – ce ne fosse pure bisogno – che la macchina preventiva messa in campo dagli esercenti, su indicazioni del CTS stesso peraltro, è estremamente efficace. Tra distanziamenti fisici in sala, orari sfalsati delle rappresentazioni, aerazione e ricambi d’aria minimi garantiti, vie di ingresso ed uscita ottimizzate in modo da evitare assembramenti e controlli stringenti del personale, di fatto, i cinema rappresentano al momento uno dei luoghi più sicuri.

Chiusura cinema

Sembra comunque che tutto ciò non basti. Qualcuno, evidentemente, continua ad associare in modo erroneo – e con una buona dose di pressapochismo – la parola cinema (ma dati alla mano il discorso potrebbe valere anche per teatri e non solo) ad un luculliano buffet di nozze apparecchiato per il covid. Si tratta in sostanza di una misura puramente demagogica: “non so cosa fare, chiudo tutto quello che suona come luogo comune e faccio pure vedere che mi do da fare”, potrebbe riassumere abbastanza bene la situazione. Naturalmente prescindendo completamente, oltre che dai dati, anche dalle sorti dei lavoratori del settore, già pesantemente coinvolti dall’assoluta mancanza di sostegno durante la chiusura precedente – ricordiamo come, ad oggi, molti di loro non abbiano ancora ricevuto dallo stato la cassa integrazione di giugno.


Nè mancano, cliché nel cliché, tante belle parole, impegni, promesse (da marinaio) e bla bla spesi con tanta ammirevole generosità quanto mancanza di fatti concreti. E questo vale sia per il caso relativo ai singoli lavoratori che per il settore nel suo complesso: completamente abbandonato a se stesso, in una situazione di gravissima crisi stante i numerosi rinvii, cui però non si ritarda mai a chiedere i dovuti emolumenti in sede di conguaglio fiscale. Tutto ciò, situazione alla mano, denota un’imbarazzante quanto completa mancanza di capacità nel coniugare protezione e rischi derivanti, innaffiata di un’autoreferenzialità tale da rendere il perseverare nell’errore quasi un vanto.

Film covid

In tutta questa tragedia, umana ed economica, gli unici a fregarsi le mani – in attesa di banchettare sulle rovine dei cinema – sono gli operatori streaming, già pronti secondo rumors insistenti in rete, a gonfiare nuovamente le tariffe, consci della completa mancanza di alternativa “esterna” in termini di intrattenimento. Una magra consolazione comunque, dacchè i reiterati tentativi di mettere le mani su qualche “titolone” in naftalina sono naufragati malamente ancor prima di cominciare. Del resto, se per un film come No time to die si spendono quasi 300 milioni di realizzazione – con un’attesa di rientro di almeno il doppio – ce ne vogliono di abbonamenti a 5 euro al mese anche solo per sperare di andare in pari. Come i colleghi di Badtaste hanno ben documentato qui.

Constatata quindi la situazione, non fosse per la conclamata scarsa competenza con cui viene affrontato il tutto, viene quasi il sospetto si tratti di una mossa congegnata appositamente onde favorire le piattaforme on-line. Considerato poi che una certa parte dell’attuale compagine “governativa” ha fondato il suo credo politico proprio sulla digitalizzazione spinta, la cosa diventa ancora più inquietante.

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