Perchè è importante non fidarsi delle proprie orecchie e cosa dicono gli esperti.
In un precedente articolo abbiamo affrontato il tema dell’audio Hi-Res, evidenziando come non sia utile come si pensa, anzi. Come prevedibile, molti audiofili hanno espresso il loro disaccordo. E se le discussioni costruttive fanno sempre bene, bisogna anche considerare che la scienza prevale sulle opinioni personali, e l’analisi degli esperti del settore non sono comparabili all’esperienza personale di un classico ascoltatore, per quanto audiofilo possa essere. È perfettamente comprensibile quanto possa essere difficile cambiare le proprie convinzioni, ma d’altra parte un vero appassionato è sempre aperto a nuove questioni.
Di seguito vediamo perchè un vero audiofilo deve imparare a non fidarsi sempre del proprio udito.
L’ANALISI DI MONTGOMERY
In primo luogo, è bene ribadire un concetto fondamentale, riportato anche nell’articolo precedente: l’audio Hi-Res è chiaramente superiore, in termini di risoluzione, a quello standard. Su questo non c’è alcun dubbio. L’analisi della sua utilità o meno viene però effettuata sulla base della capacità umana di percepire i suoni e sulla qualità delle registrazioni originali dei brani presenti oggi. In questo video del canale YouTube Audio University viene analizzato il mito dell’audio relativo alla qualità di sampling (campionamento) dei brani. Il video analizza un esperimento condotto su Xiph.org da Christopher Montgomery.
Per chi vuole approfondire è consigliata la visione completa del video, ma in buona sostanza il riassunto è che il campionamento audio superiore ai classici 44100 Hz non porta alcun vantaggio in termini qualitativi per l’utente. Anzi, in molti casi può peggiorare la situazione. Questo perchè ogni DAC, per quanto costoso possa essere, introduce sempre una minima distorsione. Si è visto che tale distorsione aumenta nel momento in cui nel file audio sono presenti frequenze molto alte, tipiche dei file ad alta risoluzione, appunto. E sebbene il problema sia contrastabile, dice Montgomery, avrebbe più senso eliminare la comparsa della distorsione alla fonte, mantenendo quindi un sample rate standard.
L’ESPERIMENTO DI WALDREP
Mark Waldrep è un recording e mastering engineer con oltre 40 anni d’esperienza nel settore musicale, che ha condotto un vero e proprio blind test per verificare se un ascoltatore può oggettivamente distinguere l’audio standard da quello ad alta risoluzione. Pur ribadendo la superiorità teorica del suono hi-res, Waldrep ha ottenuto dei risultati molto interessanti e per molti inaspettati.
Come spiegato sul suo sito, Waldrep ha pubblicato due file, entrambi in alta risoluzione, ma uno con qualità nativa in 96 kHz a 24-bit e l’altro convertito prima in 44.1kHz e 16bit e poi di nuovo riconvertito in alta risoluzione. Il test ha coinvolto tutti: utenti per diverse fasce d’età, ascoltatori casual ma anche esperti e sound engineer, che hanno ascoltato sia con dispositivi professionali che non. A tutti loro è stato chiesto di individuare il file in alta risoluzione. Il risultato? Circa la metà degli utenti ha sbagliato o non è riuscite a trovare differenze. Ne consegue che eventuali scelte sono state praticamente casuali o comunque personali. Uno studio analogo è quello effettuato dalla Audio Engineering Society, del quale potete trovare un riassunto sul sito MixOnline.
LA QUALITÀ DEI BRANI MUSICALI DELLE PIATTAFORME STREAMING
E se ciò non dovesse bastare, bisogna considerare che 44.1Hz a 16 o 24 bit è la qualità con la quale molto spesso gli artisti e i distributori caricano i brani sulle piattaforme digitali. Non soltanto su Spotify che non ha attualmente un piano HiFi, ma anche Apple Music e Tidal che invece ce l’hanno. Questo perchè tale qualità è già ideale per un ottimo ascolto, e rappresenta la miglior soluzione per rapporto qualità/dimensione del file. Ovviamente, le piattaforme permettono l’ascolto di brani veramente pensati in alta risoluzione, ma tenendo presente quel che abbiamo spiegato prima, siamo sicuri di essere davvero capaci di distinguerli o trarre un reale beneficio?
L’HI-RES NON CONVIENE
Ecco perchè, basandoci su questi dati, possiamo ritenere che spendere di più per l’ascolto di musica Hi-Fi non è conveniente. Non è che la differenza non ci sia, ma semplicemente è minima per l’orecchio umano. La sensazione di qualità nettamente superiore sembra essere dovuta più ad un effetto placebo che altro. E questo è un discorso valido soprattutto per l’utenza media, anche se c’è una buona percentuale di ascoltatori che si ritiene audiofila ma che poi di fatto non lo è, perchè non analizza l’oggettività del suono. Non possiamo negare che una piccola porzione di utenti possa cogliere qualche sottile differenza, ma quanti di essi possono realmente farlo? E c’è da considerare che non stiamo nemmeno lontanamente valutando l’aspetto della perdita di capacità dell’udito con l’avanzare dell’età, il quale meriterebbe un discorso a parte. Qui un articolo di Xiph.org che tiene conto del funzionamento dell’orecchio umano.
L’audio in alta risoluzione può trovare una sua utilità per i professionisti del settore che possono essere in grado di cogliere le differenze, ma per un normale utente è completamente inutile e comunque non giustifica una spesa aggiuntiva. Se poi non ci si vuole affidare alla scienza e ai pareri degli esperti del suono ma ad un semplice gusto personale, questo è un altro discorso.
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