L’equalizzatore, un immancabile accessorio sempre presente nei migliori sistemi ad alta fedeltà del passato – ma non solo – è fin troppo spesso stato accusato di essere completamente inutile, anzi, dannoso, in virtù del fatto che il suo intervento era considerato ridondante ed in definitiva molto poco Hi-Fi.
Stranamente però, fateci caso, molti dei dispositivi rintracciabili in uno studio di registrazione hanno lo scopo di intervenire sul segnale per correggerlo, migliorarne le caratteristiche timbriche, togliendo di mezzo per quanto possibile eccessi e ridondanze, il tutto ovviamente al fine di ottenere il meglio dalla registrazione.
Quella stessa registrazione che molti appassionati giudicano eccezionale al punto di utilizzarla quale riferimento durante gli ascolti tesi alla scelta di un componente audio.
Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 – ad opera del guru di turno immancabilmente seguitissimo da molti appassionati – ebbe inizio una sorta di caccia alle streghe che mise in discussione alcune circuitazioni allora sempre presenti in qualsiasi amplificazione, situazione che prendendo di mira controlli di tono, turnover, loudness e filtri vari portò ben presto alla sparizione di questi utili accessori dal frontale delle elettroniche.
Sapete benissimo com’è finita: quanto tolto allora è stato successivamente ripristinato, chissà come mai.
Sia come sia, uno dei dispositivi vittima di questa filosofia di pensiero – ovviamente votata alla massima purezza del segnale – fu proprio l’equalizzatore, apparecchio che molti, purtroppo, scambiavano per un sofisticato controllo di tono operante su più frequenze, certamente parecchie di più degli usuali 100Hz-10KHz mediamente scelti quali punti centrali nei circuiti di bordo.
Già il solo nome però, avrebbe dovuto far riflettere sulla funzione, assolutamente diversa dalla coppia bass/treble che tutti conosciamo.
Equalizzare, infatti, significa rendere uguali i livelli delle frequenze presenti nel segnale musicale, qualcosa che in teoria dovrebbe sempre essere così ma che poi – per cause assai variabili, dall’ambiente al programma musicale alla fisica posizione dei diffusori – possono condurre ad alterazioni (anche pesanti) della riproduzione.
Se si esegue un’analisi spettrale del contenuto energetico di un segnale musicale mediante un analizzatore di spettro, si ha modo di constatare come alcune frequenze siano più evidenti di altre, così come alcune lo sono all’inverso, vale a dire maggiormente attenuate.
Ciò non significa affatto che qualcosa non vada per il verso giusto, d’altronde il contenuto di basse frequenze di un violino non può di certo essere sovrapponibile a quello di un contrabbasso, ragione per cui nessuna meraviglia nel constatare che gli spettri sono abbondantemente diversi.
Il problema si presenta – o potrebbe presentarsi – allorquando si va a riprodurre quel programma in ambiente, un luogo solitamente chiuso le cui dimensioni hanno un’impatto diretto sulla riproduzione; non si scappa, qualsiasi ambiente influenza il risultato finale, ecco perché insistiamo sulla sua importanza!
Cosa significa? Che potremmo avere rinforzi e/o cancellazioni di alcune frequenze che alterano timbricamente il risultato, una specie di effetto aggiuntivo che si aggiunge inopportunamente al segnale inquinandolo, termine che si mostra alquanto opportuno per descrivere la situazione.
Al giorno d’oggi esistono soluzioni software – più o meno economiche in base a quanto sofisticata sia la loro azione – in grado di analizzare la risposta ambientale e correggerla generando una contro-risposta in grado di ripristinare la linearità originale – quanto meno supposta – tutti inevitabilmente basati su un DSP ed operanti quindi digitalmente.
A ben vedere, quello che fanno non è molto lontano da ciò che si propone un’EQ: spianando la risposta in frequenza, ovvero togliendo i picchi e/o i buchi che la rendono frastagliata, modificano il contenuto energetico delle frequenze facendo si che non vi siano indesiderate sovraesposizioni, ovvero che i bassi non sovrastino i medi oppure gli alti non fungano da trapano disturbando il nostro udito.
Equalizzano, appunto…
Il maggiore problema degli equalizzatori del passato non era la loro azione ma l’uso – sovente smodato – che ne veniva fatto poiché, come scritto qualche riga sopra, erano visti più come sofisticati controlli di tono multi frequenza che in veste di correttori delle criticità derivate dall’ambiente.
Infatti, tarandolo senza un analizzatore di spettro bensì ad orecchio – che per quanto allenato e sensibile non può competere con uno strumento di misura – la possibilità di agire in modo errato è abbastanza alta, ed anche considerando che aumentare il livello di una frequenza richiede un maggiore impegno energetico all’amplificatore, è facile comprendere come si possano ben presto raggiungere limiti dinamici e di erogazione in potenza.
Ma guarda caso, nel professionale non hanno mai cessato di esistere e se andate a spulciare i cataloghi dei maggiori produttori pro – ad esempio BEHRINGHER oppure KLARK TEKNIK tanto per citarne un paio – vi renderete conto di quanti modelli ne esistano, addirittura basati sui nostri amatissimi tubi a vuoto come il KLARK TEKNIK EQP-KT.
Circa quest’ultimo, operando in mono, è necessario dotarsi di due esemplari, ma considerando che il suo prezzo è di circa 280 euro non possiamo davvero parlare di esagerazione, tra l’altro ha una gestione davvero semplice e funziona egregiamente…..nel caso foste interessati, potete togliervi lo sfizio senza svenarvi.
In conclusione, utilizzato cum grano salis – come sempre dovrebbe essere – un equalizzatore potrebbe rivelarsi assai utile per raggiungere un risultato d’ascolto che sia il più soddisfacente possibile, d’altronde l’appassionato di alta fedeltà è questo che ricerca, una sempre maggiore aderenza all’evento originale.
Come al solito, ottimi ascolti!!!
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