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Sabato con Diego. Filosofia di una passione

Come per qualsiasi passione, spesso accade all’improvviso, una sorta di insopprimibile impulso ci porta a riconsiderare per l’ennesima volta la correttezza delle nostre scelte. Senza una ben determinata ragione, inizia a farsi largo nella nostra mente, un chiodo fisso in grado di alterare la reale percezione della qualità della riproduzione del nostro impianto.

La passione induce all’azione, sembra un gioco di parole ma riflettendoci bene non è proprio così: a volte è sufficiente la consapevolezza che un’azienda ha da poco immesso sul mercato la versione riveduta e corretta di un dispositivo audio – inevitabilmente meglio suonante della precedente – per essere assaliti da quella che molti definiscono scimmia, una presenza inquietante che inizia lentamente ad accompagnarci per giorni, settimane, mesi, periodo nel quale iniziamo a farci domande cui trovare una risposta non è affatto facile.

Prima o poi capita a qualsiasi appassionato: fino al giorno prima tutto filava liscio e non si vedeva l’ombra di un problema.

Poi di colpo, la mente inizia a guardare con sospetto la sorgente – oppure il sistema di amplificazione o i diffusori – come se fossero appestati, colpevoli di chissà quale mancata prestazione ed inevitabilmente pieni di difetti.


Magari basta la lettura di una prova, un test ben scritto la cui prosa induce a ritenere il pezzo “sotto torchio” assolutamente desiderabile, certamente migliore di quanto al momento in nostro possesso, tanto da doverselo in qualche maniera accaparrare, costi quel che costi.

Inizia allora un periodo davvero temibile cui molti audiofili – termine la cui assonanza con certe patologie non è certo casuale – devono soggiacere nel cammino di questa passione, una specie di percorso a ostacoli che non mostra alternative.

In altre parole la sostituzione appare inevitabile, pena inquietudine ed insoddisfazione garantite.

Tutti noi però sappiamo che questa passione – qualsiasi passione a dire il vero – è fatta di scelte, più o meno opportune, scelte che all’inizio sono dettate dalla scarsa esperienza, qualcosa che porta a fare acquisti che solo in seguito, purtroppo, potrebbero rivelarsi non proprio azzeccati.

Da questo deriva la “necessità” di cambiare, modificare, tentare sinergie che possano portare al miglior risultato ottenibile anche in funzione della spesa sostenuta, ché tanto da una rapa sangue non si cava, notoriamente.

Il primo problema è spesso di ordine psicologico: farò bene? Saranno soldi ben investiti? Otterrò un reale aumento delle prestazioni sonore del mio sistema? E se alla fine non cambiasse nulla?

Dopo di che, passato l’iniziale momento in cui i dubbi rallentano il processo mentale che porta ad inquadrare il nuovo gioiello da inserire nel sistema audio, inizia la rassegna mentale delle opzioni d’acquisto, attività questa che a molti toglie il sonno la notte, letteralmente, presi come sono dalla imminente rivoluzione sonora che sta per verificarsi.

Ecco, questo è il momento di fermarsi, il momento perfetto per dare fondo a tutta la capacità di ragionamento di cui si è in possesso, l’attimo in cui si sviluppa l’idea che se non ben considerata porterà direttamente all’azione, quella frazione di tempo che fungerà da anello di connessione tra pensiero e movimento: quello di estrarre il portafogli per pagare l’oggetto dei nostri audio-desideri più torbidi.

So che messa così sembra più la descrizione di una tragedia che quella di un momento felice, ma l’esperienza suggerisce esattamente questo: ragionare, ragionare, ragionare.

Più che altro, occorre prendere in seria considerazione il radicale cambio di approccio che deriva dal cedere un dispositivo di un certo tipo per un modello diverso, magari meno dotato sotto il profilo dell’interazione funzionale utilizzatore/apparecchio.

Prendendo spunto dalla recente prova dell’ottimo MISSION 778x – che non l’aveste ancora fatto vi consiglio di leggere – vorrei sottolineare quanto questo sia differente rispetto, ad esempio, al MAGNAT MA-900 oppure all’ADVANCE PARIS A-10 Classic altri notevoli esponenti della categoria amplificatori.

In tutta evidenza la cosa che per prima salta all’occhio è la mancanza di circuiti accessori – segnatamente i controlli di tono ed il loudness, oltre ovviamente al controllo del bilanciamento – sovente ritenuti inutili o perfino deleteri poiché sarebbero potenziale fonte di degrado.

Ragione per cui, la filosofia del MISSION appare netta: l’ampli non concede possibilità di intervento sul segnale.

Attenzione: ovviamente questo non rappresenta affatto un problema in senso assoluto, ma potrebbe esserlo per coloro abituati, appunto, ad intervenire in qualche modo sul suono del proprio impianto allo scopo di adattarlo ai propri gusti oppure all’ambiente.

L’equalizzatore PULTEC EQP-1A: modello vintage con circuitazione valvolare e suono al top

 

Io stesso dispongo di un secondo impianto dotato di un amplificatore privo dei controlli di tono – questo – e mai ho avvertito la necessità di averli a disposizione; nel mio ambiente, con le mie sorgenti, i miei diffusori e con i programmi che ascolto normalmente il risultato è perfetto, almeno per i miei gusti.

Ma in altre circostanze le cose potrebbero andare diversamente, un lieve ritocco – o più d’uno come potete leggere in questo articolo – potrebbe rendersi necessario per compensare un ambiente poco ospitale nei confronti del sistema audio.

Concludendo, il nostro consiglio è quello di ben riflettere sulle scelte più opportune, soprattutto nell’ottica di ottenere la massima soddisfazione evitando di gettare i sudati guadagni al vento, un aspetto da considerare seriamente, maggiormente ove sia necessario un cambio radicale all’approccio gestionale del sistema.

Come al solito, ottimi ascolti!!!

 

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